29 marzo 2024
Aggiornato 07:30
Musica

I Baustelle presentanto «L'amore e la violenza», un album «oscenamente pop»

Dodici nuovi brani che intrecciano l'amore con la violenza, il dolce con l'amaro, la bontà con la cattiveria. La narrazione del contemporaneo attraverso un cinismo finalizzato alla sopravvivenza.

Milano - C'è spesso una frattura al centro delle loro canzoni, ma soprattutto c'è un senso di intimità che rende dolce anche ciò che, di primo acchito, potrebbe sembrare amaro. I Baustelle sono una band che nel panorama italiano si è affermata con un'identità per molti versi unica, confermata anche dal nuovo album, che fin dal titolo, «L'amore e la violenza" (Warner Music), riassume quello che è un modo di guardare al mondo, direbbe qualcun altro, senza perdere la tenerezza. Né la capacità di citare David Foster Wallace o scrivere un verso come «La vita è tragica / però è bellissima / essendo inutile».

La parola al frontman Francesco Bianconi.
«Il vantaggio del fare i mestieri creativi è quello di dare nobiltà anche a cose che apparentemente non sembrano tali. Il fare un disco di canzoni, anche di canzoni pop, le cosiddette canzonette, può sembrare una cosa facile, ma non lo è se lo fai con un approccio della cura del dettaglio».
Lo dice con semplicità, Francesco Bianconi, ma la dichiarazione è forte, così come forte, anche nel nuovo disco, la presenza di un mondo esterno spesso complesso e talvolta brutale, che però le canzoni dei Baustelle sanno ricondurre a una dimensione di intimità, e, ci viene da dire, nel senso della parola caro a uno scrittore come Hanif Kureishi. Oppure, come ha scritto Alcide Pierantozzi, sanno fissare l'emozione sfuggente del contemporaneo, quel «presente che non abbiamo vissuto», come ci ha insegnato il filosofo Giorgio Agamben.
«E' difficilissimo - ha spiegato il frontman della band - non so neanche spiegarti come si fa o quali siano le tecniche attraverso le quali si riesce ad avere un risultato. Noi semplicemente ci proviamo. Io trovo che sia l'unico modo possibile, dal punto di vista dei testi, per non essere banali. Quando tu scomponi e butti insieme dei frammenti, ritagliando da giornali molto diversi tra di loro, forse riesci a essere più eterno, più universale».

La conseguenza più logica di questa scelta è la possibilità per il pubblico di riconoscersi e, nel caso di storie come quelle che raccontano i Baustelle, questa identificazione può rendere più difficile distinguere, come cantano in «Betty", «fra il fiorire di una rosa / e la decadenza». Ma Rachele Bastreghi non soffre la pressione emotiva del pubblico.

L'arte si fonde e confonde con la vita.
«Quando fai un lavoro creativo di questo genere - ci ha detto la cantante - ascolti quello che hai dentro, devi tirare fuori una cosa tua, sincera, pura. Non vogliamo creare messaggi. Ovviamente i testi delle canzoni nascono da quello che succede fuori e dentro di te, da emozioni, sentimenti, reazioni alle cose che succedono».
«La non distinzione tra arte e vita - ha aggiunto Bianconi - è un vecchio mito che secondo me è vero, deve un po' essere così».
In queste distinzioni che si sfumano capita poi di poter intuire, per esempio, la valenza profonda di versi come «l'idiozia di questi anni / il Vangelo di Giovanni / la mia vera identità». Forse non sappiamo bene dove ci porti questa consapevolezza, ma non importa, perchè alla fine, anche in un mondo impazzito in cui perfino il Messia non si sente tanto bene, ci resta una promessa: "Torneremo a fare l'amore, vedrai".Va benissimo così.