28 marzo 2024
Aggiornato 11:00
Dal 27 il film su Reparto Mobile tratto dal libro di Carlo Bonini

Sollima: ACAB non è film sulla Polizia ma sulla violenza nella società

Il mio è un film che racconta i celerini per raccontare l'odio e l'intolleranza della nostra società, non criminalizza e non difende nessuno. E' un film di genere, intelligente, che racconta lateralmente alcuni temi attuali ma non è un film di denuncia

ROMA - Un racconto della società italiana in chiave poliziesca e non un film sulla polizia: questa è la chiave di lettura che il regista Stefano Sollima dà del suo film ACAB (nelle sale il 27 gennaio), che racconta vicende professionali e private di un gruppo di agenti del reparto mobile, quotidianamente alle prese con la violenza: «Il mio è un film che racconta i celerini per raccontare l'odio e l'intolleranza della nostra società, non criminalizza e non difende nessuno. E' un film di genere, intelligente, che racconta lateralmente alcuni temi attuali ma non è un film di denuncia» ha spiegato Sollima alla presentazione del film.
I tre celerini protagonisti di ACAB (acronimo di All Cops Are Bastards), interpretati da Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro e Marco Giallini, sono figli di una Roma proletaria con fascinazioni di estrema destra, razzista, sono vittime della rabbia dei loro fratelli che tirano pietre fuori dagli stadi, ma usano la violenza anche per una giustizia privata, coprendosi sempre fra loro, come fossero un branco che si difende. «Alcuni esponenti della Polizia hanno visto il film ma non c'è stata una reazione ufficiale. Certo non ci aspettiamo che lo abbraccino, comunque non ci hanno mai ostacolato» ha spiegato il produttore Marco Chimenz.

Nel film si evoca solo in lontananza il G8 di Genova, che uno dei protagonisti del film definisce «la più grossa stronzata della nostra vita», si richiamano episodi reali come la morte dell'ispettore Filippo Raciti o quella di Raffaele Sandri, il tifoso ucciso da un agente nel 2007, in un'alternanza in cui i poliziotti della Celere sono a volte vittime a volte artefici di violenza. «Dopo il film ho capito anche come si sta dall'altra parte, quando bisogna fronteggiare qualcuno che ti assale e ti tira sassi: in quei casi l'aggressività che è in ognuno di noi esce fuori inevitabilmente» ha spiegato Favino, che per prepararsi al film ha incontrato insieme agli altri attori diversi celerini. «Quando li abbiamo incontrati io avevo un pregiudizio, oggi la mia percezione è un po' cambiata, credo che sia umano rispondere con aggressività a chi ti aggredisce, ma ovviamente non approvo quando il limite con cui si usa la violenza è poco chiaro e si ricostruisce una legalità personale» ha spiegato Filippo Nigro.
La pellicola, come il libro, secondo Carlo Bonini, fa riflettere sul fatto che «quella cultura di destra, confusa, condivisa dai poliziotti ma anche dagli ultrà dello stadio, è diventata ormai la cultura egemone in Italia». Guardare ACAB sul grande schermo, secondo il giornalista, rappresenta «un'occasione per ragionare su come siamo diventati noi italiani».