24 aprile 2024
Aggiornato 15:30
Festival di Santemo

Benigni: Unità Italia così bella che lascia qualcuno non festeggi

Trionfo del comico a Sanremo, che ha fatto il suo ingresso in sala in groppa ad un cavallo bianco, tra lazzi politici e amor di Patria

ROMA - Standing ovation al teatro Ariston di Sanremo per l'attesa esibizione del premio Nobel Roberto Benigni che ha fatto il suo ingresso in sala in groppa ad un cavallo bianco, sventolando una bandiera tricolore e ha concluso il suo lungo e appassionato monologo sulla storia dell'unità d'Italia, durante il quale non ha risparmiato battute sferzanti sul presidente del Consiglio, cantando a cappella l'inno di Mameli davanti ad una platea commossa.

«All'inizio avevo un po' di dubbi ad entrare a cavallo perchè è un periodo che ai cavalieri non gli dice molto bene», ha esordito il comico toscano, tuffandosi subito nell'attualità politica, senza risparmiare battute sul Pd e sul suo leader Bersani. «Morandi è una persona straordinaria -ha detto, rivolgendosi al conduttore- è una persona calma, può succedere di tutto intorno a lui ma lui non reagisce e allora il prossimo festival facciamolo presentare a Bersani», ha concluso, strappando risate al pubblico.

Pochi secondi e arriva il primo riferimento al caso Ruby: «150 anni che sono per una nazione? Niente, l'Italia è una minorenne e poi -ha aggiunto- questa storia delle minorenni è nata proprio a Sanremo con Gigliola Cinquetti che cantava 'Non ho l'età' e si spacciava per nipote di Claudio Villa». Ancora sul Ruby gate: «Abbiamo perso tempo a capire se era la nipote di Mubarak, ma bastava fare una cosa semplicissima, andare all'anagrafe in Egitto e vedere se Mubarak di cognome fa Rubacuori». Al presidente del consiglio, di cui non ha mai pronunciato il cognome, il comico toscano consiglia: «Se non ti piace Rai uno cambia canale, metti il due -prima di correggersi- Ah no, c'è Santoro..».

Dopo una prima parte dedicata all'attuale situazione politica del Paese, Benigni si è addentrato nella parafrasi dell'inno di Mameli - con accenti appassionati per il sacrificio dei patrioti, molti dei quali giovanissimi, che hanno fatto l'Italia - ma senza rinunciare a qualche tuffo nella satira politica come quando ha sottolineato: «Dobbiamo ringraziare personaggi memorabili come Cavour che è stato il primo, anzi -si è corretto- il secondo più grande statista degli ultimi 150 anni ma alla fine della carriera fu coinvolto in uno scandaletto: lo beccarono con la nipote di Metternich».

Prima di concludere la performance cantando, quasi sottovoce, senza accompagnamento musicale, l'inno d'Italia, nel mirino del premio Nobel è finito anche il leader della Lega: «Dov'è la vittoria, le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò -ha recita, prima di rivolgersi direttamente a Bossi che aveva criticato questa strofa- Umberto, è la vittoria che è schiava di Roma, non l'Italia! Umberto, il soggetto è la vittoria! L'unità d'Italia è talmente bella che permette pure a qualcuno di non festeggiarla», ha concluso Benigni passando il testimone ad un Gianni Morandi con gli occhi lucidi dalla commozione.