20 aprile 2024
Aggiornato 01:00
Schermo Piatto

Marco Belinelli ha realizzato il sogno impossibile di tutti

Solo fino a qualche anno fa era folle pensare ad un italiano campione in NBA. Ora è tutto vero, si è fatta la storia e il Beli è diventato leggenda (FOTO)

Se non fosse stato per il Mondiale di calcio, quella di Marco Belinelli sarebbe stata un’impresa da titolone e foto gigante sulle prime pagine dei quotidiani sportivi. Così purtroppo non è stato. Un’altra occasione persa. Davvero inconcepibile, per certi versi inammissibile. Paese di calciofili l’Italia dove il basket è ancora considerato da qualcuno, e a torto, uno sport minore. Eppure si gioca nelle ore di educazione fisica, nei campetti di strada e in quelli improvvisati nelle camerette o nei vialetti dei garage. Chi più chi meno, chi a livello agonistico e chi solo amatoriale, tutti hanno o hanno avuto a che fare con una palla a spicchi. Chi per semplice divertimento occasionale e chi sognando di diventare come Michael Jordan e giocare in NBA.

Già, l’NBA. Solo fino a qualche anno fa era pura follia solo pensare che un giocatore italiano sarebbe riuscito a giocare da protagonista, figuriamoci vincere il titolo. E lo pensavano tutti, addetti ai lavori compresi. Ottobre del 2006: i Phoenix Suns di Steve Nash sbarcano a Roma per giocare una partita di esibizione. Alla conferenza stampa di presentazione, all’epoca ero inviato per l’Ansa, chiesi alla leggenda George Gervin, lì in veste di ambasciatore NBA, se conoscesse Belinelli e Gallinari, in quegli anni giovanissimi eppure già protagonisti del campionato di Serie A e in procinto di fare il grande salto verso gli States. Con imbarazzante tranquillità Gervin non solo rispose con un secco no, ma ammise di non conoscere neanche Andrea Bargnani che solo pochi mesi prima, a giugno, era stato chiamato come prima scelta assoluta al draft dai Toronto Raptors. Altra pagina storica per il basket italiano.

Lì per lì ci rimasi davvero male, ma all’epoca, solo otto anni fa, quando si parlava di basket gli americani erano considerati, e si consideravano, ancora dei marziani e gli stranieri semplici terrestri. L’altra notte, vedendo George Gervin in tribuna a San Antonio nella partita che ha consegnato il titolo agli Spurs, e anche al nostro Belinelli, non vi nascondo d’aver riso di gusto sotto i baffi come se fossi stato io a prendermi una gran bella rivincita. In più questi San Antonio Spurs sono la prima squadra della storia della National Basketball Association ad aver vinto l’anello schierando in finale un quintetto tutto straniero: Tony Parker (Francia), Patrick Mills (Australia), Manu Ginobili (Argentina), Tim Duncan (Isole Vergini), Boris Diaw (Francia), a cui si sono alternati Tiago Splitter (Brasile) e Marco Belinelli (Italia). Le uniche stelle americane della squadra sono Danny Green e Kawhi Leonard, eletto Mvp delle finali a soli ventuno anni.

Nei lontani anni ’80 e ’90, quando esplose la basket mania, per vedere le stelle dell’NBA bisognava accontentarsi degli spizzichi e bocconi trasmessi da Telemontecarlo o comprare videocassette. Io ho letteralmente consumato i nastri di Michael Jordan, titoli come Playground e Air Time. Chi in quegli anni era appena un ragazzino e aveva scelto il basket come sport da praticare, aveva la cambretta tappezzata di poster della rivista American Superbasket e si addormentava sognando di giocare un giorno insieme a Magic Johnson, Larry Bird e Jordan. Proprio un sogno, sia in senso stretto che in senso lato. Un sogno comune per chiunque ma altrettanto per chiunque irrealizzabile.

Vedere Marco Belinelli sul carro dei vincitori con il tricolore al collo è stata una gioia molto difficile da spiegare con semplici parole. I trentenni e quarantenni di oggi si saranno sicuramente commossi, ripensando alla propria adolescenza, e forse per un attimo si sono visti lì, al posto del Beli, immaginando di dire «C’è l’ho fatta, ho realizzato il mio sogno, sono diventato un campione NBA». Ecco perché si tratta di un evento di portata enorme. Non è semplicemente una bella pagina di sport italiano, è qualcosa che va molto oltre i titoli, le immagini, gli aggettivi, le celebrazioni. È l’impossibile che diventa possibile, è l’assurdo che diventa certezza, è il sogno di milioni di appassionati che diventa realtà.

Una realtà che ha scelto decisamente l’epoca più opportuna per divenire tale, l’epoca di internet, dei social network e, televisivamente parlando, di Sky. Tutti hanno potuto vedere e sentire tutto, finalmente, non come negli anni ’90. Una storia, la storia, raccontata in diretta dal miglior telecronista di basket, ma probabilmente anche in senso assoluto, di tutti i tempi: Flavio Tranquillo. Colpa della crisi e di un po’ di spending review, erano diversi anni che l’accoppiata delle meraviglie Tranquillo-Buffa non volavano oltre oceano per commentare le Finals. Ma quest’anno, per il Beli, non potevano esimersi. Lo si sentiva, era nell’aria questa prima volta assoluta per un italiano. Scaramanticamente nessuno voleva dichiararlo apertamente, ma se lo sentivano tutti che stava per accadere qualcosa di straordinario. Federico Buffa forse ha scelto l’anno sbagliato per passare al calcio, sono sicuro che avrebbe dato un rene pur di essere all’AT&T Center di San Antonio per gara 5, ma per nostra fortuna Flavio Tranquillo è rimasto fedele alla linea. La sua telecronaca è già leggenda e quando tra dieci, venti, cinquant’anni riparleremo di Marco Belinelli, il primo italiano a vincere un titolo NBA, la voce che accompagnerà quelle storiche immagini sarà la sua.

Come cambiano i tempi, come cambia il mondo. Da bambino volevo essere come Michael Jordan, un americano di colore, il più grande giocatore apparso su un campo da basket in questa vita e in molte altre. Oggi, domani, molti ragazzini italiani si addormenteranno con il poster di un italiano sognando di giocare un giorno in NBA e ripetere il suo miracolo. Il miracolo di Marco Belinelli, quello che ce l’ha fatta, quello che ha realizzato il sogno impossibile di tutti. UnBELIevable!