19 aprile 2024
Aggiornato 15:00
Curiosità scientifiche

Perché quando sbattiamo le palpebre non vediamo il buio? La scoperta degli scienziati americani

Un team di ricerca americano ha scoperto il motivo per cui quando sbattiamo le palpebre non vediamo il buio. Ecco i risultati dello studio

Perchè quando sbattiamo le palpebre non vediamo il buio?
Perchè quando sbattiamo le palpebre non vediamo il buio? Foto: Dean Drobot | Shutterstock Shutterstock

Quando chiudiamo gli occhi non vediamo più il mondo intorno a noi, un po’ come se qualcuno avesse spento la luce. Stranamente però, quando sbattiamo le palpebre – e lo facciamo per circa diecimila volte al giorno – questo non accade. Anzi, a dirla tutta, non ci rendiamo neppure conto di cosa stiamo facendo. Perché si verifica questo strano fenomeno? Se lo sono chiesto alcuni scienziati della New York University, ed ecco la conclusione a cui sono giunti.

Passiamo la vita a occhi chiusi
Potrebbe sembrarci strano ma passiamo (quasi) più tempo a occhi chiusi che aperti. In una vita media di 70 anni, infatti, ne trascorriamo 5 a occhi chiusi. Non solo perché dormiamo, ovviamente, ma anche perché il nostro sbattere gli occhi (della durata di pochi decimi di secondo) avviene per un numero elevatissimo di volte: circa 6 milioni all’anno. Nonostante ciò, nessuno di noi vede il «buio» durante l’ammiccamento. Un fenomeno alquanto strano che ha gettato le basi per porsi le giuste domane giuste (scientifiche). Quesiti a cui alcuni scienziati americani sembrano essere riusciti a fornire una risposta.

Come mai non vediamo il buio?
Secondo i risultati ottenuti dagli studiosi, il nostro cervello possiede una regione in grado di fornire un’immagine di ciò che ci circonda, nel momento in cui i nostri occhi sono chiusi per un brevissimo lasso di tempo. In pratica, tale sede cerebrale ricorda ciò che abbiamo visto poco prima e sovrappone l’immagine ottenuta alle zone scure durante l’ammiccamento. In questo modo all’apparenza noi abbiamo una visione continua anche se non lo è affatto.

Il mondo nascosto
Ad operare in tale senso è la nostra corteccia prefrontale mediale del cervello. Zona che ci aiuta a capire il mondo intorno a noi anche mentre non lo vediamo affatto. Tale regione svolge un ruolo determinante anche per la memoria a breve termine quando si tratta di processo decisionale. Per arrivare a simili conclusioni, il team di ricerca ha collegato elettrodi al cervello nei pazienti affetti da epilessia. Grazie a questi gli scienziati hanno mostrato su uno schermo un reticolo di punti irregolari che potrebbero essere percepiti come orizzontali o verticali. Ai pazienti veniva poi chiesto con quale orientamento lo avevano visto. Hanno quindi ripetuto, subito dopo, un esperimento simile mostrando una forma esagonale che può essere vista anch’essa in diversi orientamenti. Durante lo svolgimento dei compiti l’attività cerebrale della corteccia prefrontale veniva monitorata costantemente.

I risultati
Ciò che volevano capire gli scienziati è se ciò che avevano visto prima (reticoli irregolari) e immediatamente dopo (esagoni) gli permetteva di fornire le stesse risposte. In tal caso significava che la percezione del reticolo aveva influenzato il giudizio dell’esagono. Inoltre, uno dei partecipanti aveva – in precedenza – assistito alla rimozione di una sezione cerebrale a causa di una malattia e non era stato in grado di memorizzare le informazioni visive. I risultati, quindi, suggeriscono che la corteccia prefrontale mediale è la chiave per la nostra capacità di continuare a percepire il mondo intorno a noi, anche mentre ammicchiamo.

Informazioni visive
«La nostra ricerca mostra che la corteccia prefrontale mediale calibra le informazioni visive correnti con le informazioni ottenute in precedenza. In questo modo siamo in grado di percepire il mondo con maggiore stabilità, anche quando chiudiamo brevemente gli occhi per batter ciglio», spiega il dottor Caspar Schwiedrzik, del Primate Center di Göttingen. A detta dello scienziato la corteccia prefrontale è in genere, utile alla percezione del mondo intorno a noi. «Anche quando vediamo un'espressione facciale, questa informazione influenza la percezione dell'espressione sulla prossima faccia che guardiamo», conclude Schwiedrzik.