19 marzo 2024
Aggiornato 11:00
Grano contaminato da glifosato

Stop alla pasta al glifosato. La prima risposta arriva dalla Barilla

Pasta made in italy, la Coldiretti plaude alla decisione di Barilla di dire stop al grano al glifosato. 1 pacco di pasta su sette prodotto in Italia conteneva grano canadese

Pasta e glifosato
Pasta e glifosato Foto: paulista | shutterstock.com Shutterstock

ROMA – Qualcuno ricorderà lo ‘scandalo’ della pasta al glifosato. Quando un’associazione aveva riportato che molte grandi marche di pasta avevano utilizzato grano proveniente dal Canada che era contaminato dall’erbicida ritenuto pericoloso per la salute umana. Ma, ora, pare che le cose possano cambiare.

Aumentare la produzione italiana
«Gli agricoltori per una giusta remunerazione del proprio lavoro sono pronti ad aumentare la produzione di grano duro in Italia, dove è vietato l’uso del glifosato in preraccolta, a differenza di quanto avviene in Canada e in altri Paesi». E’ quanto afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo in riferimento all’annuncio della Barilla che ha «aggiornato i parametri qualitativi per questa materia prima strategica» e chiede «ai produttori di grano duro di tutti i Paesi di non usare il glifosato prima del raccolto» come invece avviene in Canada, che fino allo scorso anno era il principale fornitore straniero dell’Italia. Una scelta comunicata dal direttore degli acquisti di Barilla, Emilio Ferrari, a Toronto al Canadian Global Crops Symposium dove ha sottolineato che «al momento Barilla non ha firmato nessun contratto per l’importazione del grano dal Canada».

Un pacco di pasta su 7 contiene grano canadese
In una situazione in cui un pacco di pasta su sette prodotto in Italia è fatto con grano canadese, si tratta – sottolinea la Coldiretti – di una svolta storica della principale industria pastaia del mondo che risponde alle sollecitazioni che vengono dai consumatori che chiedono garanzie di sicurezza alimentare. Un cambiamento che ha portato al prepotente ritorno dei grani nazionali antichi come il Senatore Cappelli e alla rapida proliferazione di marchi e linee che garantiscono l’origine nazionale al 100% del grano impiegato, da Ghigi a Valle del grano, da Jolly Sgambaro a Granoro, da Armando a Felicetti, da Alce Nero a Rummo, da FdAI firmato dagli agricoltori italiani fino a ‘Voiello’, che fa capo proprio al Gruppo Barilla, senza dimenticare molte linee della grande distribuzione.

Crollo delle importazioni
Le importazioni di grano duro dal Canada erano crollate già nel 2017 del 39,5% in valore per un quantitativo comunque estremamente rilevate di 720 milioni di chili secondo una analisi della Coldiretti su dati Istat. A pesare – continua la Coldiretti – l’entrata in vigore in Italia del decreto con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del grano impiegato. Ora da Barilla fanno sapere – riferisce la Coldiretti – di aver investito 240 milioni in progetti che coinvolgono 5.000 imprese agricole italiane che coltivano una superficie di circa 65 mila ettari «con un incremento del 40% dei volumi di grano duro italiano nei prossimi tre anni». «La scelta di Barilla è una buona notizia perché dimostra la capacità di un’azienda di rispondere alle preoccupazioni dei consumatori del nostro Paese che chiedono pasta fatta con il grano italiano ma anche di sostenere l’economia e l’occupazione sul territorio contro la delocalizzazione», ha precisato il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Molti ettari a disposizione
L’Italia può contare su 1 milione e 350mila ettari di coltivazioni di grano duro con un raccolto che – precisa la Coldiretti – sfiora i 4 miliardi e 300 milioni di chili concentrato nell’Italia meridionale, soprattutto in Puglia e Sicilia che da sole rappresentano circa il 40% del totale nazionale. Nel mondo poi – evidenzia la Coldiretti – l’Italia detiene il primato sulla produzione di pasta con 3,2 milioni di tonnellate all’anno davanti a Usa, Turchia, Brasile e Russia. Ma è proprio sui mercati mondiali che si avvertono i primi campanelli di allarme visto che, in controtendenza rispetto all’andamento del Made in Italy all’estero che ha superato la storica cifra di 41 miliardi di euro, si riducono invece le esportazioni italiane di pasta che nel 2017 hanno fatto segnare un preoccupante calo in valore secondo le analisi Coldiretti su dati Istat.

Fermare la delocalizzazione
Si tratta degli effetti della rapida moltiplicazione di impianti di produzione all’estero, dagli Stati Uniti al Messico, dalla Francia alla Russia, dalla Grecia alla Turchia, dalla Germania alla Svezia, sottolinea la Coldiretti. Ora ci sono le condizioni per frenare i pesanti effetti della delocalizzazione che dopo aver colpito la coltivazione del grano sta interessando la trasformazione industriale con pesanti conseguenze economiche e occupazionali. La svolta dell’industria può quindi rappresentare una svolta per invertire la tendenza e valorizzare il Made in Italy dai campi alla trasformazione industriale, conclude la Coldiretti.