12 ottobre 2024
Aggiornato 11:00
Memoria, Ricordo, Vittoria

Quella retorica anti-italiana di cui è vittima la nostra memoria nazionale

Antisemitismo ieri e oggi, foibe, orgoglio nazionale, senso patrio, memoria. Questi i temi approfonditi al convegno organizzato dal Centro Machiavelli e Nazione Futura, con il DiariodelWeb media partner

ROMA - Memoria. Un termine inflazionato, spesso svuotato di significato, o, peggio, assoggettato alle ideologie contemporanee e strumentalmente sventolato come bandiera politica. E invece, la memoria è soprattutto un esercizio necessario nel mondo di oggi, perché, come diceva Mario Rigoni Stern, le cose che si dimenticano possono ritornare. Questo è stato il fil rouge della convegno, tenutosi ieri alla Camera dei Deputati, Memoria, Ricordo, Vittoria. L'Italia di oggi e i conti con la propria storia, organizzato, in collaborazione con Nazione Futura, dal Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli, giovane think thank di esplicita vocazione sovranista, con la media partnership di DiariodelWeb.it. Un convegno tenuto a pochi giorni dalle celebrazioni del Giorno della Memoria, dove il ricordo della Shoah e delle leggi razziali del fascismo è stato il punto di partenza per un discorso più ampio e profondo, in cui i temi dell'unità e dell'orgoglio nazionale, il ricordo dell'eccidio delle foibe, la celebrazione di grandi vittorie come quella di Vittorio Veneto si sono intersecati tra loro, con l'obiettivo di affermare, con forza, la necessità che l'Italia di oggi, per guardare al futuro con speranza, faccia innanzitutto pace con la propria storia.

Vittorio Veneto, una fiamma di orgoglio nazionale
Ne ha parlato Dario Citati, esponente del Centro Machiavelli, sottolineando, in apertura dei lavori, l'importanza di «affermare con forza il senso di unità nazionale e di devozione verso la bandiera», ma anche di riflettere su «quali sono le minacce che attentano a questa identità». È proprio in questo senso che la battaglia di Vittorio Veneto dovrebbe essere interpretata: una rivincita che proviene dalla disfatta di Caporetto, la dimostrazione di uno spirito italiano capace, nei momenti più duri, di rialzare la testa. Il tutto, nonostante una storiografia spesso ingenerosa abbia volutamente cercato di ridimensionare il ruolo dell'esercito italiano in quella battaglia. Una ingiustificata tendenza a minimizzare il valore patrio - una «retorica dell'antiretorica» - sottolineata anche dal Generale Giorgio Battisti, che ha ripercorso le tappe principali della Grande Guerra nella formazione di un orgoglio nazionale e nella coscienza di appartenere, nonostante tutto, a una grande Nazione. Nazione che ha radici millenarie, che affondano in quella tradizione classica e cristiana ancora vivida in tante delle nostre città, in primis nella Capitale.  La Grande Guerra, ha ricordato il gen. Battisti, ha mobilitato 5 milioni di italiani, ha mietuto 680mila vittime e fatto più di 600mila prigionieri. Ma è anche una guerra che ha cementificato il senso dell'essere italiani, cristallizzato in quella fiammata d'orgoglio che fu la battaglia di Vittorio Veneto.

L'antisemitismo ieri e oggi
E poi c'è la memoria che non si deve cancellare, e che deve restare un faro nel presente, un monito alle nuove generazioni. Come il ricordo delle leggi razziali, a 80 anni di distanza. Lo storico Claudio Siniscalchi (ISGAP – Institute for the Study of Global Antisemitism and Policy) ha ricordato che, alle sue origini, né Benito Mussolini (che ebbe anche un'amante ebrea) poteva dirsi razzista o antisemita, né tale poteva essere considerato il fascismo. Solo in seguito vi fu una brusca virata verso un'idea totalitaria che non aveva precedenti. E il razzismo, ha spiegato Siniscalchi, ne fu conseguenza e non causa, ma fu anche accettato con nonchalance da ampi settori della società, tra cui giovani universitari e intellettuali. Una memoria che tuttavia, per Siniscalchi, non esclude il rischio che la società d'oggi sia macchiata, ancora, da un mai del tutto sopito sentimento antisemita. Il grande pericolo, a suo avviso, è cioè che al ricordo necessario degli ebrei morti non corrisponda, poi, il rispetto per quelli vivi.

Le foibe, l'eccidio dimenticato
Dall'altra parte, però, resta un ulteriore rischio: e cioè che la memoria venga esercitata in maniera parziale, settoriale, e diventi una bandiera sventolata dall'una o dall'altra parte politica e svuotata di significato. È accaduto qualcosa del genere, secondo gli organizzatori, nell'atteggiamento della storiografia italiana nei confronti di un altro eccidio del Novecento, perpetrato, questa volta, dai comunisti di Tito nei confronti degli italiani. Oliviero Zoia, già dirigente dell’associazione degli esuli giuliano-dalmati, ha ricordato, in un intervento a tratti commosso e commovente, la storia della propria famiglia di esuli, e quella di tanti italiani costretti a lasciare la propria terra, dietro la minaccia di terminare i propri giorni nell'orrore delle foibe. Un orrore, quel che è peggio, condannato all'oblio, vittima, si è detto, di un palese negazionismo, e di una politica (della memoria e non solo) intimamente anti-italiana. Zoia ha parlato peraltro di un patto politico poco divulgato, testimoniato da Giulio Andreotti nel 2003, e intercorso tra lo stesso politico democristiano, che nel 1947 era Sottosegretario agli Esteri, Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. Un patto che segnò il destino di silenzio e colpevole dimenticanza a cui l'eccidio delle foibe sarebbe stato in seguito condannato. Il risultato, ha detto Zoia, è che tanti esuli sono stati dimenticati da un Paese che hanno amato profondamente. E che la memoria dei circa 20mila italiani infoibati fatica a trovare legittimazione a livello nazionale, sebbene sia stata fortunatamente istituita, il 10 febbraio, la Giornata del ricordo.