Terrorismo, Meloni: «La risposta dell'Ue (e dell'Italia)? Un mistero»
La leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, ha denunciato l'inadeguatezza dell'Europa e dell'Italia nella lotta al terrorismo. Sullo stesso tema si è espresso il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, in tutt'altri termini.
ROMA - «A distanza di un anno dall'attentato alla redazione di Charlie Hebdo la minaccia terrorismo è sempre più forte in Europa. Ci si chiede ancora come affrontare quella che non è più una semplice emergenza immigrazione ma una pericolosa realtà con cui tutti i giorni facciamo i conti. Anche oggi il presidente della Commissione Europea Juncker si limita a dire che la risposta non è la chiusura delle frontiere, né la reintroduzione dei controlli nell'area Schengen. Quale sia la proposta di questa Ue resta un mistero». Lo afferma la presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni.
Meloni: Italia segua l'esempio di altri Paesi europei
«L'Italia - aggiunge - segua l'esempio di tante altre nazioni e tuteli il suo popolo: se aspettiamo che sia l'Europa a dare risposte ci attendono tanti, troppi, anni di immobilismo totale».
Gentiloni: no all'illusione di brillanti azioni militari
La polemica della Meloni si scaglia contro l'Ue in generale e il governo italiano in particolare, a suo dire particolarmente inadeguato nella lotta al terrorismo. Di tutt'altro avviso Paolo Gentiloni, che ha dichiarato di non avere «alcuna indulgenza» verso chi ancora «predica l'illusione di risolvere con qualche brillante azione militare la sfida che abbiamo davanti», quella del terrorismo. Lo ha chiarito lo stesso ministro degli Esteri italiano, in una lettera al Corriere della Sera in cui ricorda che «paghiamo ancora, dopo quindici anni, le conseguenze di guerre lampo che avrebbero dovuto cancellare la minaccia terroristica».
La risposta di Gentiloni
«Caro direttore», esordisce il titolare della Farnesina nella missiva, «se questi giorni sono l'annuncio dell'anno che verrà, l'Europa navigherà davvero in acque turbolente. E al centro del disordine sarà più che mai il Mediterraneo. Italia in prima linea, dunque. Per ragioni storiche, geografiche, economiche e culturali. Chiedersi se le scelte del Governo siano all'altezza della sfida, come ha fatto ieri Angelo Panebianco, è legittimo, anche perché non mancano certo gli interrogativi in primo luogo su come affrontare la sfida del terrorismo». «Parto dai due temi», prosegue Gentiloni, «definiti da Panebianco «errori strategici». Il primo consisterebbe nell'insufficiente solidarietà alla Francia colpita dal terrorismo. Così non è stato. La nostra solidarietà, a gennaio come a novembre, è stata totale e ha coinvolto, oltre al Governo, molta parte della società italiana».
Italia in prima linea
«Non conosco richieste francesi a cui l'Italia non avrebbe corrisposto», rivendica il ministro degli Esteri, «E non vorrei che indicando questo presunto errore, che non c'è stato, si voglia piuttosto riproporre l'immagine di un'Italia che sarebbe riluttante nel contrasto al terrorismo mentre i nostri alleati sarebbero convinti interventisti guidati da piccoli Churchill. Panebianco sa che non è così, che i nostri militari sono tra i più impegnati - e apprezzati - nell'arco della crisi che va dal Golfo di Guinea al Pakistan». «Se ad esempio la coalizione anti Daesh, il cui vertice si riunisce tra meno di un mese a Roma, ha recuperato terreno in Iraq il merito è delle forze irachene e curde, ma anche dei tre o quattro Paesi come l'Italia che li armano, li addestrano e contribuiscono a una gestione non settaria delle aree liberate», sottolinea ancora nella lettera il titolare della Farnesina, «È vero invece che il Governo ha particolarmente insistito sull'importanza delle dimensioni diverse da quella militare nella lotta al terrorismo. Non lo considero un errore. Non ho alcuna indulgenza verso interpretazioni sociologiche (del resto alcuni degli attentatori erano tutt'altro che "poveri") ma ne ho ancora meno verso chi tuttora predica l'illusione di risolvere con qualche brillante azione militare la sfida che abbiamo davanti. Paghiamo ancora, dopo 15 anni, le conseguenze di guerre lampo che avrebbero dovuto cancellare la minaccia terroristica. Cancellarla sarà l'impegno di una generazione. Militare, certo. Diplomatico, come in Siria o in Libia. Di informazione. Di cooperazione con i paesi la cui stabilità è a rischio. E certamente culturale».
Interrogativi strategici
«Vengo agli interrogativi strategici», conclude il ministro degli Esteri, «Il principale è come affrontare, in un complesso gioco multilaterale non dominato da una o due superpotenze, la tempesta provocata dal triplo scontro che attraversa diversi paesi dell'area: tra popolazione e regimi, tra sciiti e sunniti, tra maggioranza sunnita e minoranze jihadiste. Molti, giustamente, evocano la guerra dei trent'anni. Ma quanto è lontana Vestfalia? E le nostre diplomazie sapranno, come l'Italia propone, lavorare per un «concerto Mediterraneo» che promuova misure minime per ristabilire dialogo e fiducia? A questo, in fondo alludono le riunioni recenti su Siria e Libia. In tutto questo, sarebbe come non mai cruciale il ruolo dell'Europa. Ma non di un' Europa che si fa travolgere dai migranti al punto da ripristinare le frontiere. Un'Europa della crescita, capace di governare le migrazioni e di farsi sentire nel mondo: se ci rinunciamo saremo tutti più deboli».
(Con fonte Askanews)
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