20 aprile 2024
Aggiornato 15:30
Il governatore toscano verso la candidatura a segreteria nel 2017

Pd, scende in campo Enrico Rossi, l'anti-Renzi comunista

In queste ore, Enrico Rossi sta emergendo come un possibile anti-Renzi" per l'elezione del segretario del Pd nel 2017

ROMA (askanews) - «Tanto la Sieve che l'Era sono fiumi affluenti dell'Arno». La metafora «geografica», con i due corsi d'acqua che scorrono nel Valdarno fiorentino e nel pisano, ha il copyright di Enrico Rossi, che in queste ore sta emergendo come un possibile «anti-Renzi» per l'elezione del segretario del Pd nel 2017. «Io candidato? Perchè no? Ci sto pensando», ha ribadito anche stamani il governatore toscano, da sempre fieramente di sinistra, rieletto al primo turno per il secondo mandato lo scorso giugno. In realtà, i percorsi politici di Renzi e Rossi, pur partiti da posizioni diverse, sono andati via via avvicinandosi, tanto che il governatore «deve» all'attuale premier tanto la candidatura a presidente della Regione, quanto l'investitura per il secondo mandato.

Chi è Rossi
Rossi è nato a Bientina, in provincia di Pisa, il 25 agosto 1958. Laureato in filosofia, si è avvicinato al giornalismo lavorando al «Tirreno», avviando contemporaneamente la militanza politica nel Pci. Nel 1985 è diventato assessore e vicesindaco al comune di Pontedera, di cui è stato poi sindaco dal 1990 al 1999. Qui acquistò notorietà per la «battaglia» con cui fu evitato il trasferimento della Piaggio a Nusco: fu l'allora primo cittadino a guidare l'occupazione dei binari della ferrovia. Da lì Rossi passò in Consiglio regionale, eletto tra i Ds, e per dieci anni è stato assessore regionale alla sanità. Intanto studiava da presidente della Regione. Il suo turno arrivò nel 2010, e in quel momento iniziò il "feeling" tra Renzi e Rossi. Al momento della scelta del candidato del Pd, infatti, Rossi era il «naturale» successore di Claudio Martini. Non era l'unico, però, ad avere questa ambizione. Pronto a scendere in campo c'era anche Federico Gelli, vicepresidente uscente, area Margherita, molto vicino a Renzi. Tutti si aspettavano che l'allora «rottamatore» lo appoggiasse e invece, a poche ore dal lancio della candidatura, Renzi a sorpresa rilasciò un'intervista in cui annunciava il suo sostegno a Rossi, che venne poi effettivamente eletto. Tra gli allora presidente di Regione e sindaco di Firenze il rapporto è stato dialettico, in un clima di sostanziale collaborazione istituzionale, ma anche con alcune asprezze, ad esempio sull'apertura dei negozi il primo maggio, con il primo schierato per il no e il secondo decisamente per il sì. Ma d'altro canto si ricorda anche l'«alleanza di ferro» tra i due per il potenziamento dell'aeroporto di Peretola.

Appoggiava Bersani
Rossi, comunque, negli anni della Leopolda (a cui non è mai andato) non si convertì al «renzismo» e anzi, alle primarie del 2012, appoggiò Bersani. Intanto Renzi scalava il partito e diventava presidente del Consiglio, e anche la rossa toscana diventava renziana. Tutto lasciava credere che il premier, per le amministrative del 2015, scegliesse un «suo» candidato e c'era già chi iniziava a scaldarsi. E invece, ancora una volta a sorpresa, dalle vacanze a Forte dei Marmi, nell'agosto 2014, intervistato da una televisione locale, anticipò tutti: «Il candidato naturale sarà il presidente Rossi. Non la pensiamo allo stesso modo, ma Enrico farà bene». Investitura piena, dunque, fatta anche facendo irritare qualcuno dei «suoi» e ribadita dalla scelta di Renzi di chiudere la campagna elettorale delle regionali proprio a Firenze, sul palco insieme al governatore.

Nodo Senato
Un feeling che oggi appare abbastanza evidente se il (l'ex?) bersaniano Rossi dice che «il Senato deve essere riformato e il Paese ha bisogno del monocameralismo per avere un governo democraticamente eletto dai cittadini più efficiente, rapido e incisivo. Non condivido le preoccupazioni circa i rischi per la democrazia con la riforma del Senato» o che, «le riforme di per sé non producono occupazione. Questo non è mai accaduto, e anche questa riforma non credo abbia prodotto occupazione. Casomai è un incentivo quello che il Jobs Act ha messo a disposizione: così si è ridotta la percentuale dei contratti precari, e questo è un dato estremamente positivo». Ma quindi, c'è chi si chiede, sotto sotto Rossi è diventato renziano o no? «Non sono renziano, né filorenziano, né antirenziano - ha detto in una intervista dopo la ricandidatura -. Sono un comunista democratico di stampo berlingueriano, Matteo è nato cattolico-democratico ed è diventato un blairiano moderato. Lo stesso Renzi che ha scalato il partito da destra, coi voti di moltissimi compagni, adesso fa delle cose di sinistra. Le mie idee e le sue non solo possono stare nello stesso partito. Ma devono farlo. Per cui, qualunque cosa accada, il Pd sosterrà Renzi».

La sorpresa
Fatto sta che l'uscita allo scoperto, a due anni dal congresso, ha lasciato in tanti spiazzati, anche nel partito toscano. «Che in questa legislatura Rossi volesse ritagliarsi un ruolo a livello nazionale era risaputo - ragiona un esponente Dem toscano di fede renziana - ma questa auto-candidatura è stata un po' una sorpresa. Difficile dire cosa lo abbia spinto, se voglia realmente proporsi come leader della minoranza Dem o se ambisca a un posto di numero due del partito, per presidiare l'ala sinistra. Un ruolo che, del resto, a Renzi, potrebbe non dispiacere...»