12 ottobre 2025
Aggiornato 11:30
Il centrodestra del nord attacca sui profughi

Maroni non ce l'ha con i migranti, ma con Renzi

Le minacce del presidente della Regione Lombardia sono irrealizzabili tecnicamente. Ma politicamente hanno colpito nel segno. Sull'immigrazione sono più efficaci le soluzioni sbagliate della Lega che le zero soluzioni del governo

ROMA – Si può essere d'accordo o meno con le intenzioni di Roberto Maroni, ma le misure che ha minacciato nelle sue ultime dichiarazioni sono semplici parole al vento. Non mi riferisco agli errori oggettivi sui dati. «Secondo i dati resi noti dal Viminale nei giorni scorsi – ha sostenuto il presidente della Regione – la Lombardia è la terza regione italiana, dopo Sicilia e Lazio, come percentuale di presenze di immigrati nelle strutture di accoglienza»: in effetti al terzo posto c'è la Puglia, e comunque la Lombardia è solo al 9% contro il 21% della Sicilia, meno della metà. Non mi riferisco nemmeno alle dichiarazioni che lo stesso Maroni faceva nel 2011 da ministro dell'Interno: «Tutti i Comuni e le Regioni accolgano 50 mila dei profughi che affollano Lampedusa, nel nome della solidarietà». Passi.

Minacce impossibili
Il punto vero è che ciò che afferma di voler fare è proprio impraticabile o, alla meglio, tecnicamente inutile. «Ho diffidato i prefetti dall'effettuare le assegnazioni nei Comuni lombardi – ha preannunciato – e se i sindaci accetteranno di ospitare i clandestini, la Regione taglierà i fondi loro destinati». Peccato che i prefetti siano sottoposti al ministero dell'Interno e non alla Regione, quindi non sono tenuti a seguire i dettami di Maroni, tutt'al più quelli di Alfano. E peccato che discriminare la concessione dei fondi ai Comuni sulla base di una scelta (peraltro promossa dal governo) sia palesemente incostituzionale: basterebbe il primo ricorso al Tar per far crollare queste minacce come un castello di carte.

Attacco politico
Ma se queste dichiarazioni sono prive di qualsiasi fondamento tecnico, ne hanno molto sotto il profilo politico. Come dimostra il fatto che il governatore lombardo ha subito trovato una sponda nei colleghi del Veneto Luca Zaia e della Liguria Giovanni Toti. Forte del recente risultato delle urne, insomma, il centrodestra ha ricostituito il suo asse del nord e ha avviato un attacco frontale al governo Renzi, partendo proprio dal tema più caldo dell'ultima campagna elettorale: l'immigrazione. Mai scelta fu più azzeccata, non solo perché si tratta di un argomento cui gli elettorati leghista e forzista si sono dimostrati particolarmente sensibili, ma anche perché su questo problema il premier si è dimostrato completamente assente. Ha sbolognato al suo servo sciocco Alfano la delicata gestione della patata bollente (e del relativo dissenso) e lui si è limitato a non occuparsene. Forse perché è una questione delicata, difficile, che non porta applausi e che non sta tutta nei 140 caratteri di un tweet.

E Renzi tace
È stato lo stesso Renzi ad ammetterlo apertamente nella direzione del Pd di lunedì scorso: «La Lega sferra l'attacco più insidioso su di noi sul tema dell'immigrazione, non va sottovalutata – ha ammesso – Ci facciamo sempre male: sull’immigrazione non abbiamo ancora trovato una visione alternativa che sia credibile e raccontabile, perché viviamo in una logica di subalternità». Tradotto: non sappiamo che pesci pigliare. Lo si è già visto e lo si vedrà in modo ancora più chiaro al prossimo Consiglio europeo del 25 giugno, quando con ogni probabilità verrà sancita la morte del progetto della suddivisione dei profughi in quote tra i vari Paesi. Insomma, il buon senso ci dirà anche che la Lega sbaglia l'approccio all'emergenza sbarchi, ma la tattica politica ribatte che fanno bene. L'elettorato preferirà comunque una soluzione sbagliata a nessuna soluzione.