18 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Lega e Pd insieme contro la riorganizzazione delle Poste

«Per Caio modernizzare vuol dire penalizzare i cittadini»

Il piano di razionalizzazione di Poste Italiane, che prevede la chiusura di circa 500 uffici postali sul territorio, oltre alla consegna della posta in alcune aree a giorni alterni e alla riduzione degli orari di apertura di molte strutture, non è piacuto a sindaci e cittadini. Ed è stato oggetto di varie interrogazioni parlamentari bipartisan, tra cui quella del leghista Nicola Molteni

ROMA - Utenti delle poste nel caos. Il motivo, la chiusura indiscriminata e capillare di moltissimi uffici postali, da Nord a Sud. Una vera e propria emergenza di cui si è occupato, in questi giorni, un manipolo bipartisan di parlamentari che, tra Camera e Senato, hanno presentato varie interrogazioni sull’argomento. Tra questi Nicola Molteni, deputato della Lega, che ha illustrato, qualche giorno fa, in aula la situazione in provincia di Como. «Tra chiusure e riduzione degli orari, gli uffici postali nazionali interessati da questi tagli sarebbero circa 500, 100 dei quali in Lombardia e 4 in provincia di Como. Tra l’altro, i 4 uffici che chiudono sono in zone di montagna, dove il servizio che svolgono è quindi ancora più indispensabile per i cittadini; altri 18 subiscono una riduzione di orario», spiega Molteni. «La mia interrogazione è stata sollecitata anche da sindaci in rivolta, che vedono privare i propri concittadini di servizi fondamentali, soprattutto in quelle zone montane e lacustri dove, ad esempio, per le persone anziane, poter contare su un ufficio postale raggiungibile e accessibile è una grande comodità».

MOLTENI: SMANTELLAMENTO DI UNA RETE FONDAMENTALE DI SERVIZI - Al di là del caso specifico lombardo, Molteni riconosce che esiste una «sollevazione generale, perchè ci sono amministrazioni che hanno sottoscritto petizioni, ci sono comuni dove si stanno raccogliendo firme. E’ un ulteriore caso di taglio di servizi perpetrato sul territorio», denuncia. «Cito ad esempio un altro settore che ha subito pensanti tagli: la chiusura dei piccoli tribunali e dei giudici di pace. E’ in corso», spiega Molteni, «un taglio sistematico di servizi fondamentali per i cittadini sul territorio. Servizi che oltretutto sono pagati con le tasse dei cittadini, e che vengono tagliati soprattutto nei Comuni più piccoli e più svantaggiati». Per il deputato leghista, dunque, si tratta di un vero e proprio «smantellamento di una rete di servizi fondamentali e primari, a fronte di un aumento delle tasse. Il tutto, nell’ottica di un contenimento delle spese. E’ una follia assoluta», conclude.

CIRCA 500 UFFICI POSTALI PRESTO CHIUSI - In effetti, proprio  in questi giorni Poste italiane sta presentando un piano di riorganizzazione e razionalizzazione, che prevede la chiusura di quasi 500 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura degli sportelli in diverse aree del territorio nazionale, «nonostante», ha fatto notare Molteni nella sua interrogazione, «i cospicui contributi statali erogati dallo Stato italiano in favore della società Poste italiane per i servizi essenziali».  E il servizio di Poste Italiane, ha puntualizzato l’interrogante, «non può prescindere dalla capillare presenza degli uffici sul territorio e dall'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste». Anche perché, ha spiegato Molteni, molto presto i tagli potranno riguardare anche i portalettere «in tutti quei comuni la cui densità di popolazione è sotto i 200 abitanti per chilometro quadrato, dove la consegna sarà prevista solo alcuni giorni della settimana».

NEMMENO L’AGCOM RIESCE A SALVARE POSTE E POSTINI - Le medesime osservazioni sono giunte da altri parlamentari, che hanno sottoposto all’attenzione di Camera e Senato i casi di vari Comuni di tutta Italia interessati dalla chiusura degli uffici postali. In Calabria, ha sottolineato il deputato Pd Ernesto Magorno, è prevista la chiusura di ben 25 uffici e la razionalizzazione di altri 35, con consequenziale riduzione dell’organico e degli orari di apertura. Stessa situazione in Piemonte, dove la chiusura di alcuni uffici postali e il depotenziamento di oltre cento sportelli attivi nei piccoli Comuni hanno creato ai cittadini diversi disagi: se ne sono occupati gli onorevoli Cristina Bargero e Massimo Fiorio e il senatore Daniele Borioli. In particolare, il dubbio di questi ultimi interroganti è che l’intervento di riorganizzazione non «sia coerente con il Decreto Scaiola del 2008, che fissa i criteri attualmente vigenti per distribuzione degli uffici postali sul territorio nazionale», e secondo il quale il servizio fornito dalle poste dovrebbe essere innanzitutto «universale». Anche a Cremona, l’annunciata chiusura di tre offici postali e la contrazione delle aperture di altri 26 ha portato l’onorevole  Franco Bordo a sottoporre il problema alla Camera. Altra area calda, la provincia di Piacenza, dove i sindaci dei Comuni coinvolti nella chiusura incontreranno, il prossimo 18 febbraio, la direzione provinciale di Poste Italiane. Portavoce del piacentino, il deputato Pd Marco Bergonzi, che ha sottolineato come, oltretutto, lo scorso 22 gennaio si sia pronunciato sulla questione il Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Quest’ultimo ha «ritenuto opportuno inserire (…) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (…) ritenendo prevalente l’esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio». La delibera AGCOM obbliga inoltre Poste Italiane ad avviare con congruo anticipo con le istituzioni locali delle misure di razionalizzazione, per avviare un confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate, individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale.

COBAS POSTE: TAGLI DELLE SPESE PER VENDERE AI PRIVATI - Nonostante tali indicazioni dell’Autority, però, il piano di «riorganizzazione» sta andando avanti. Secondo Bergonzi, ciò «conferma l’orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni che insegue una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, a scapito delle esigenze della collettività, sacrificando uffici che ritiene ‘improduttivi’ o ‘diseconomici’, senza considerare che rappresentano un punto di riferimento per i cittadini dei piccoli comuni».Osservazione sostanzialmente condivisa da Cobas Poste, che non ha mai nascosto la sua disapprovazione rispetto alla linea impressa a Poste Italiane dall’a.d. Francesco Caio, che il sindacato riassume così: «liberateci dai vincoli del servizio universale, dal controllo e dalla limitazione dei prezzi dei prodotti postali standard, dagli obblighi dei tempi di consegna (in qualche modo) vincolanti. Insomma, se vogliamo vendere Poste ai privati, bisogna che questi interventi vengano realizzati, che la strada sia sgombra di ogni sorta di ostacoli, che le attività non redditizie, imposte  da un’anticaglia come il servizio pubblico universale, vengano ridotti al minimo, se proprio non sarà possibile eliminarli».

MENO UNIVERSALITA’, PIU’ COMPETITIVITA’? - La situazione è certamente complessa, anche perché Poste Italiane, azienda pubblica con un bilancio che nel 2013 faceva registrare utili poco superiori ad 1 miliardo di Euro, ha reso noto nel piano industriale l'intenzione di quotarsi in borsa e di procedere alla vendita del 40% del proprio capitale nel corso dell'anno 2015. Da qui, la volontà di riorganizzarsi completamente, anche a costo di ridurre fortemente servizi fondamentali per i cittadini. E tale riduzione, secondo i parlamentari interroganti e Cobas Poste, non potrà essere verosimilmente riequilibrata dal programma di digitalizzazione di cui Caio ha parlato più volte, tenuto conto dalle note carenze del nostro Paese nello sviluppo delle infrastrutture internet e della banda larga. Siamo quindi condannati  a ricevere la posta sporadicamente, e a vedere triplicate le code agli sportelli?