24 aprile 2024
Aggiornato 14:30
Religione & Società

Il Vescovo di Ragusa apre su unioni gay e coppie di fatto

Monsignor Paolo Urso: «Ma non va chiamato matrimonio perché altrimenti non ci intendiamo. Uno Stato laico come il nostro non può ignorare il fenomeno delle convivenze, deve muoversi e definire diritti e doveri per i partner. Poi la valutazione morale spetterà ad altri»

ROMA - «Quando due persone decidono, anche se sono dello stesso sesso, di vivere insieme, è importante che lo Stato riconosca questo stato di fatto. Che va chiamato con un nome diverso dal matrimonio, altrimenti non ci intendiamo». Lo ha detto mons. Paolo Urso, vescovo di Ragusa.

Uno Sato laico non può ignorare il fenomeno - Il tema della convivenze, ha detto il presule in un'intervista di questi giorni al Quotidiano nazionale, «è molto complesso, anche perché potrebbe essere il segno di una paura di assumersi delle responsabilità. Allo stesso tempo potrebbe testimoniare una disistima nei confronti del matrimonio. In ogni caso la convivenza mi sembra un elemento di poca sicurezza». In questo senso, «se il problema è la scarsa considerazione del matrimonio, come Chiesa avremo il dovere di sottolineare la bellezza e l'importanza delle nozze; se, invece, alla base c'è una paura, occorrerà spingere i giovani ad avere coraggio. Scrive Louis Sepulveda: Vola solo chi osa farlo». Quanto agli omosessuali, «quando due persone decidono, anche se sono dello stesso sesso, di vivere insieme, è importante che lo Stato riconosca questo stato di fatto. Che va chiamato con un nome diverso dal matrimonio, altrimenti non ci intendiamo». Per mons. Urso, «uno Stato laico come il nostro non può ignorare il fenomeno delle convivenze, deve muoversi e definire diritti e doveri per i partner. Poi la valutazione morale spetterà ad altri». Per quanto riguarda la Chiesa, essa «fa le sue valutazioni, ma ciò non toglie che deve sempre essere una casa dalle porte aperte, anche per i gay e le lesbiche. Non va confuso il peccato con il peccatore».

Il precedente sulla fecondazione assistita - Nel 2005, in occasione del referendum sulla fecondazione assistita, il vescovo Urso dichiarò che sarebbe andato a votare, lasciando libertà di coscienza ai fedeli. Eppure l'allora presidente della CEI, cardinale Camillo Ruini, era stato molto chiaro nel richiamare la Chiesa all'astensione. Rifarebbe quella scelta? «Senza dubbio la rifarei», risponde il presule. «Sono stato educato alla laicità dello Stato e al rispetto delle leggi civili. Quando il cittadino è chiamato a compiere delle scelte concrete, il compito della Chiesa è quello di offrire ai fedeli degli strumenti per decidere in autonomia e consapevolezza. Per questo ho detto alla mia gente: 'Informatevi, documentatevi, vedete se questo tipo di soluzioni sono giuste e giudicate voi'». Quella di Ruini «è stata un'azione di strategia politica. Ma io credo che i vescovi con la politica e le sue logiche non debbano avere nulla a che fare».