Lega al bivio Milanese: Maroni cauto, i suoi scalpitano
«E' l'arma finale». Il Ministro dell'Interno guarda al Pdl per un passo indietro del Premier
ROMA - Lo spartiacque potrebbe già essere il voto nell'Aula della Camera sull'arresto di Marco Milanese previsto tra poco più di una settimana. Ma che la Lega - e in particolare il consistente numero di parlamentari che fa riferimento a Roberto Maroni - possa decidere di votare a favore del carcere per il braccio destro di Giulio Tremonti è ancora tutto da valutare. La risposta ufficiale dei leghisti è che «attendiamo indicazioni da Bossi». La speranza di quelli di rito 'maronita', è che anche in questo caso il 'Capo' possa optare per la libertà di coscienza come ai tempi di Alfonso Papa. Ma soprattutto, spiegano parlamentari vicini al ministro dell'Interno, si vuole aspettare di capire quanto la 'pressione' interna del Pdl per un passo indietro del premier possa sortire effetti.
Tuttavia, ancora oggi Bossi si è incontrato con Giulio Tremonti, sempre accompagnati da Roberto Calderoli nell'avvio operativo delle sedi ministeriali di Monza. Una triade che nell'ultimo mese e mezzo è stata la costante nella comunicazione leghista, osservano da via Bellerio, con un Maroni invece più defilato. Ed un segnale evidente della tenuta del rapporto tra Bossi e Tremonti, così come delle difficoltà dei rapporti tra Maroni e Calderoli: fino a qualche settimana alleati per sconfiggere il cerchio magico, ora su posizioni più distanti.
Un quadro che induce alla cautela Maroni e i suoi, perchè il sì all'arresto di Milanese viene considerato una sorta di 'arma finale', nell'entourage del ministro, con la consapevolezza che sarebbe un passo senza ritorno. Ecco perchè per adesso si vuole aspettare di capire se - dopo la sortita di Pisanu, dopo il pressing di Letta e Confalonieri - anche Angelino Alfano troverà «il coraggio» di far sentire la sua voce a favore di un passo indietro di Berlusconi. Anche se tra i deputati vicini a Maroni il clima è battagliero: «Noi andiamo sul territorio e ci siamo stancati di difendere certe cose». Dunque, spiega uno di loro, «non ho ancora deciso come voterò su Milanese e non credo che possa essere Bossi a dirmelo. La libertà di coscienza non può funzionare ad intermittenza...».
Un tema, quello di Milanese, che travalica le carte e gli atti e diventa tutto politico, intorno alla exit strategy dall'alleanza con Berlusconi: «Ormai siamo in un angolo, e portiamo il peso di tutta l'impopolarità delle scelte di questi mesi», è il ragionamento degli uomini di Maroni, ancora più irritati per la decisione con cui oggi Roberto Calderoli ha difeso la manovra. Dunque, è la convinzione, il tema di come sganciare il destino della Lega da quello di Berlusconi va posto come prioritario nel Carroccio: «Rischiamo di dilapidare un patrimonio politico di consensi che già oggi abbiamo iniziato ad intaccare», constatano i maroniti.
Nel frattempo Maroni è impegnato a consolidare il suo peso nel Carroccio e da questo punto di vista appaiono per lui confortanti le primarie per i delegati del congresso di Brescia. Perchè la frase che gli uomini del ministro del'Interno ripetono come un mantra è che «Maroni non farà la fine di Fini». Ovvero, non strapperà lui il partito, non rischierà di essere lui l'eretico da espellere.