La Consulta boccia ancora il «pacchetto sicurezza»
Non obbligatorio il carcere per chi è accusato di omicidio, possibili misure alternative
ROMA - La Corte costituzionale ha bocciato un'altra norma del 'pacchetto sicurezza' varato nel 2009 dal governo. Questa volta, sotto la scure della Consulta è caduta una norma che obbliga gli accusati di omicidio alla custodia cautelare in carcere: d'ora in poi, anche chi ha a proprio carico 'gravi indizi di colpevolezza' di omicidio, potrà attendere processo e sentenza agli arresti domiciliari e non più obbligatoriamente dietro le sbarre. Dichiarata quindi l'illegittimità costituzionale dell'articolo 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonchè in tema di atti persecutori).
La Consulta, accogliendo i giudizi di legittimità costituzionale promossi dal gip dei Tribunali di Milano e Lecce, ritiene quindi illegittimo l'articolo di legge nella parte in cui, prevedendo che «quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'articolo 575 del codice penale (omicidio) è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari», tuttavia «non fa salva altresì l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al fatto concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure». La sentenza è stata scritta dal giudice Giuseppe Frigo.
La norma del 'pacchetto sicurezza' è stata bocciata per «ingiustificata parificazione» (violazione dell'art. 3 della Costituzione) dell'omicidio volontario ai delitti di mafia.
Analoga decisione era stata presa sempre dalla Consulta lo scorso anno per quanto riguardava i procedimenti per violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e prostituzione minorile, rispetto ai quali il 'pacchetto sicurezza' aveva operato una stretta, prevedendo l'obbligo di custodia cautelare in carcere e non anche la possibilità di misure alternative.