31 luglio 2025
Aggiornato 01:30
Crisi libica

La Mediazione di Sant'Egidio porta il leader dei ribelli Jalil a Roma

Il canale dei migranti, i contatti con l'opposizione all'estero

ROMA - Alla mediazione umanitaria e diplomatica non è nuova e anche nel caso della crisi libica la comunità di Sant'Egidio ha svolto un ruolo centrale, ancorché molto discreto, emerso solo oggi in modo evidente. Quando, scortato da auto blindate e uomini di scorta cha hanno paralizzato la piazza trasteverina dove si trova il suo quartier generale, è arrivato il presidente del Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, Mustafa Abdul Jalil.

Jalil è a Roma per una giornata di contatti ai massimi livelli. In mattinata è stato ricevuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dal ministro degli Esteri Franco Frattini, nel pomeriggio si è trasferito a Palazzo Chigi per un faccia-a-faccia con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Nel frattempo ha incontrato esponenti di Enel, Finemccanica, UniCredit. Ma, per pranzo, Jalil è stato ospite della comunità fondata negli anni del '68 da Andrea Riccardi per aiutare i poveri delle baracche della periferia romana. Un evento che ricorda, per analogia, la visita di Bush a Roma di alcuni anni fa: incontrò massime cariche dello Stato, ambasciatori, il Papa e, appunto, la comunità di Sant'Egidio.

«Siamo venuti qui per lanciare al mondo il messaggio che operiamo per la pace e che l'islam non è una religione terroristica», ha spiegato Jalil ai giornalisti ammessi a conclusione dell'incontro. C'è anche l'ex ambasciatore della Libia alle Nazioni Unite, Abdurrahman Mohammed Shalgam. «Il profeta Mohamed ci invita ad astenerci dall'aggredire gli altri o ad appropriarci dei loro beni», ha detto il leader dell'opposizione libica senza citare esplicitamente Gheddafi, «siamo consapevoli del ruolo della comunità di Sant'Egidio presso la opinione pubblica italiana». Nella breve conferenza stampa Jalil ha sostenuto che Gheddafi va mandato via con la forza e ha invitato l'Italia ad aumentare la «pressione militare» su di lui, ma quando risponde alla domanda su Sant'Egidio parla di dialogo tra fedi: «Vogliamo dire che l'islam invita alla pace, alla sicurezza di tutti e al riconoscimento delle altre religioni».

Nel cortile dell'ex monastero che ospita la comunità, a pochi metri dalla sala dove è stato firmato l'accordo di pace in Mozambico del 1992, gli esponenti della comunità lo ascoltano in silenzio. Il fondatore Riccardi non c'è, è all'estero. Arriva il presidente Marco Impagliazzo, che saluta Jalil e spiega ai giornalisti: «Sant'Egidio porta avanti la pace e il dialogo interreligioso può essere uno strumento utile a questo fine. La situazione in Libia ci preoccupa e abbiamo discusso della emergenza umanitaria». Nessun timore di essere strumentalizzati a fini poco pacifici? «Non ci siamo posti il problema», sorride Impagliazzo.

I rapporti con gli insorti di Bengasi, del resto, sono ormai consolidati. E sono nati, spiegano gli uomini di Sant'Egidio, attraverso il canale degli immigrati e l'associazione santegidina Gente di pace. Si sono poi sviluppati i primi contatti con l'opposizione libica all'estero e già agli inizi di marzo alcuni suoi esponenti sono giunti a Roma per colloqui da Bruxelles e da Manchester. «Ci siamo accorti che c'era 'voglia di Italia' e abbiamo organizzato il primo incontro con il ministro Frattini, a cui è seguito il riconoscimento del Consiglio nazionale transitorio da parte dell'Italia», ha spiegato Vittorio Scelzo, uno dei due mediatori di Sant'Egidio. «C'è bisogno dell'Italia anche per il sostegno medico alla gente di Misurata», gli ha fatto eco il collega Mauro Garofalo. Il Vaticano non è stato coinvolto in tutta la vicenda. E la comunità di Sant'Egidio già lavora ad un prossimo incontro.