I periti della famiglia: Stefano morì per i traumi
Conferenza stampa a Montecitorio. La sorella Ilaria: «è morto pensando che lo avevamo abbandonato»
ROMA - Sono stati i traumi e le loro conseguenze a determinare quella catena di eventi che ha portato alla morte di Stefano Cucchi. E' quanto emerge dalla perizia disposta dalla famiglia presentata in una conferenza stampa a Montecitorio, a cui hanno preso parte la sorella Ilaria, il presidente dell'associazione «A buon diritto» Luigi Manconi e il collegio difensivo.
Un edema polmonare acuto da insufficienza cardiaca, dovuto ai traumi subiti e all'immobilità; poi il blocco della vescica provocato dalle fratture alla colonna vertebrale. «Cucchi non è morto - spiega Cristoforo Pomara, uno degli esperti - di disidratazione, anche se ne presentava alcuni sintomi. Quando è deceduto aveva nella vescica 1,4 litri di urina, contro i 300-400 centilitri che rappresentano la sua normale capienza».
«Mio fratello è morto pensando che lo avevamo abbandonato». ha detto Ilaria Cucchi. «Quello che fa più male oggi è apprendere quanto Stefano debba aver sofferto, quanto siano stati difficili i suoi ultimi giorni. E ha aggiunto, «Sapevamo fin dal primo istante che Stefano non si è spento come volevano farci credere e ci è stato confermato dai nostri medici».
Stefano Cucchi, geometra, morì il 22 ottobre scorso nel reparto detentivo dell'ospedale Pertini di Roma, una settimana dopo l'arresto e un pestaggio avvenuto nelle celle del tribunale.
E' la terza perizia sul caso Cucchi. Il 17 marzo il rapporto della Commissione sul Servizio Sanitario Nazionale dichiarava che il giovane morì «per disidratazione» e accusava di negligenza il personale del Pertini. L'8 aprile l'ipotesi della disidratazione è stata scartata dai consulenti della Procura secondo cui il decesso avvenne per insufficienza cardio circolatoria; i periti anche in questo caso puntarono il dito contro le negligenze del personale medico, ma parlarono di fratture vecchie e di altre recenti, un quadro traumatico che «non ha avuta alcuna valenza» nel provocare la morte.
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