2 maggio 2024
Aggiornato 15:00

E' scontro fra diplomazie: Libia, Iran e Turchia richiamano gli ambasciatori

Anche le feluche italiane sottopressione dopo l’arresto di due iraniani per traffico d’armi

La chiameremo la guerra degli ambasciatori. Sarà una coincidenza, ma in queste ultime settimane c’è stata una accelerazione nella convocazione di ambasciatori come segno di proteste internazionali.
A dare il via allo scontro fra diplomazie è stato il leader libico Gheddafi che, come ritorsione per l’arresto in Svizzera di suo figlio, Hannibal, e la conseguente espulsione di un centinaio di funzionari, ha chiuso le porte ai Paesi dell’area Schengen.
Il braccio di ferro fra Libia e Svizzera nei giorni scorsi sembrava sul punto di essere risolto, ma è bastata una frase ironica del portavoce della Casa Bianca nel riferire alla stampa che Gheddafi aveva invocato la «guerra santa» contro gli elvetici per fare riandare su tutte le furie Gheddafi e di conseguenza a riportare la questione in alto mare. Tripoli ha infatti convocato l’ambasciatore degli Stati Uniti, al quale ha richiesto delle scuse, e nello stesso tempo ha mandato un avviso minatorio a tulle le compagnie petrolifere Usa presenti in Libia.

Lo scontro fra le diplomazie in queste ore ha poi registrato una nuova fiammata dagli sviluppi imprevedibili.
Il caso più clamoroso e quello suscitato dal governo turco che ha convocato l’ambasciatore degli Stati Uniti per protestare contro la decisione del Congresso Usa di condannare come genocidio lo sterminio operato da Ankara nei confronti degli armeni, avvenuto nel corso della prima guerra mondiale.
Inutili sono state le pressioni di Barack Obama per convincere il Congresso a fare slittare il giudizio sul dramma degli armeni. Il Presidente degli Stati Uniti era giustamente preoccupato per le ripercussioni che avrebbe potuto provocare questa sentenza sulla storia della Turchia e non aveva torto: il premier turco ha infatti richiamato in patria il suo ambasciatore a Washington. Nel linguaggio diplomatico questo è uno dei gesti più ostili fra quelli rivolti ad un altro Paese.

Stabilito che è giusto che la storia non dimentichi i suoi errori, da chiunque siano stati commessi, e nel caso degli armeni si parla di almeno un milione di morti, è lecito chiedersi se oltre che da ragioni morali il Congresso non sia stato indotto a pronunciarsi anche da altri motivi meno nobili.
Per Washington l’alleanza con la Turchia è strategica. Ankara è un alleato della Nato e viene visto come un baluardo contro l’estremismo islamico. Negli ultimi tempi però la Turchia ha guardato verso la Russia con una attenzione che forse non è stata gradita al di là dell’Oceano.
E a nessuno è sfuggita l’enfasi con la quale recentemente Putin e Erdogan hanno festeggiato insieme il battesimo del nuovo oleodotto, South Stream, che dovrebbe portate il gas russo in Europa. Un oleodotto che, non bisogna dimenticarlo, è entrato in diretta concorrenza con un oleodotto omologo, il Nabucco, che gli americani stanno costruendo con le ex repubbliche sovietiche del caucaso per fare concorrenza al petrolio e al gas russo.
Il quotidiano di Ankara, Vatan, ha annunciato che la Turchia è pronta a cancellare contratti per armamenti con società americane per 45 miliardi di dollari. Il che dà al misura del giro di affari che lega i due Paesi, ma anche della dipendenza dei turchi nei confronti degli americani per la loro difesa.

Infine la guerra delle diplomazie ci vede protagonisti in Iran, dove il governo di Teheran ha convocato l’ambasciatore italiano, Alberto Bradanini, in merito alla vicenda dell’arresto avvenuto in Italia di due presunti agenti segreti iraniani.
Il portavoce della diplomazia iraniana, Ramin Mehamanparast, ha spiegato che al nostro ambasciatore è stata richiesta la motivazione dei due arresti.
L’episodio dei due iraniani, arrestati nel corso di una operazione delle forze dell’ordine che ha smantellato un traffico di armi, ha fatto molto scalpore a Teheran, anche perché uno dei due finiti in manette è Masoumi Nejad, volto noto della Tv di Stato, giornalista accreditato presso il nostro governo la stampa estera a Roma.
A Teheran hanno subito contrattaccato accusando l’Italia di avere messo in carcere il giornalista per i suoi articoli ostili a Berlusconi. Gli inquirenti italiani hanno replicato che dalle intercettazioni risulta evidente il ruolo di Nejad nel traffico di armi verso il suo Paese.

I tre episodi di questa guerra delle diplomazie sono scollegati fra di loro, ma sono troppo coincidenti per non essere il segno che qualcosa si sta muovendo nell’area mediorientale, laboratorio di ogni mutamento di equilibri dello scacchiere mondiale.