19 marzo 2024
Aggiornato 10:00

Di Girolamo: non ho portato la ‘ndragheta in Senato

Il senatore dimissionario dà l’addio all’Aula di Palazzo Madama

ROMA - Il senatore, o ex senatore Di Girolamo, come ogni accusato ha tutto il diritto di difendersi, ma poiché ha deciso di farlo dallo scranno più alto, l’Aula del Senato, al quale ogni cittadino deve guardare con il massimo rispetto, sarebbe stato più giusto se, oltre alle negazioni avesse aggiunto qualche affermazione.
Era lecito aspettarsi che nella sua difesa Di Girolamo facesse anche cenno alla ormai comprovata sua estraneità ai luoghi che gli avrebbero consentito di entrare in Parlamento. Forse avrebbe segnato un punto a suo favore se avesse spiegato, anche succintamente per quali vie era riuscito a costruire il consenso elettorale di cui si è giovato.
L’ormai ex senatore ha invece fatto unicamente riferimento alla fotografia che l’immortala con un signore indicato dalla magistratura come mafioso.

«Eravamo in campagna elettorale. Chissà quanti voi si sono trovati nella stessa situazione» ha detto Di Girolamo rivolto ai suoi ex colleghi.
E’ facile immaginare quanti brividi sulla schiena ha suscitato fra gli scranni del Senato con queste sue parole.
Se sono deprecabili le sue omissioni intorno alla vicenda che l’ha coinvolto anche nel giorno dell’addio, a Nicola Di Girolamo va invece riconosciuto il rispetto dovuto a chi non ha subito ancora alcuna condanna.
'Non sono Lucifero, non sono l'untore. Ringrazio chi mi è stato vicino in questi giorni, ma non farò nomi perché potrei coinvolgerli e non voglio che siano infangati. Io non li dimenticherò e spero che anche loro non dimentichino me e la mia famiglia». E' con queste parole che il senatore dimissionario è intervenuto ad apertura di seduta dell'Aula a Palazzo Madama dove è iniziata la discussione sulle sue dimissioni. «Vorrei solo che per questa mia vicenda - ha anche aggiunto Di Girolamo - non scontassero innocenti, oltre alla mia famiglia. Penso alla comunità degli italiani all'estero che vanno considerati parte di un circuito virtuoso, una risorsa preziosa per il Paese e non un problema, come invece sono stati considerati in questi giorni».

Il senatore del Pdl ha proseguito il suo discorso affermando di non aver «portato in quest'Aula l'indegnita' della 'ndrangheta». Ripercorrendo i fatti recenti con qualche breve considerazione, Di Girolamo ha ricordato la «serie di fotografie sui giornali» che lo ritraggono con un esponente della malavita organizzata, il boss Franco Pugliese. «Vorrei ricordare che quella foto fu scattata in campagna elettorale.

In quella occasione - ha tenuto a sottolineare - davanti a quella torta feci 250 fotografie.

Quel signore mi fu presentato come un ristoratore e per questo molto ben inserito nella comunità all'estero. Dopo di lui davanti a quella foto, ne feci molte altre, tra cui alcune anche con il parroco e con il sindaco. Per quella foto in tre giorni la mia vita privata e professionale è stata annientata». Al termine del sommesso intervento di Di Girolamo c'è stato un breve applauso dall'Aula. Di Girolamo aveva annunciato la decisione di dimettersi in una lettera inviata nei giorni scorsi al presidente Renato Schifani. Il voto, a scrutinio segreto, è previsto alle 12.

Di Girolamo, eletto nelle liste del Pdl all'estero, è indagato per brogli e riciclaggio, falsa dichiarazione sulla sua residenza in Belgio e di rapporti con la 'ndrangheta.
Ieri Di Girolamo ha salutato alcuni senatori ironizzando sulla possibilità che venga arrestato già oggi, dopo il voto del Senato che accoglierà le sue dimissioni: «Ma dove mi mandano? Voi che dite, meglio Regina Coeli o Rebibbia?».
«Rebibbia», gli ha replicato un senatore. Accogliendo le dimissioni di Di Girolamo, il Senato evita di pronunciarsi sulla richiesta di arresto giunta dalla magistratura e di formalizzare un pronunciamento favorevole dell'Aula su casi di questo genere.