Il 22 febbraio al via processo a Massimo Papini
Gli aderenti al comitato: «lui è estraneo al terrorismo. Paga solo amicizia con Blefari»
ROMA - E' stato fissato per lunedì 22 febbraio il processo per Massimo Papini, l'attrezzista cinematografico arrestato il 1 ottobre scorso, per l'accusa di partecipazione a banda armata e associazione eversiva. Secondo la Procura di Roma l'uomo, che ha 35 anni e al momento della cattura era su un set a Castellabate, in provincia di Salerno, farebbe parte delle nuove Brigate Rosse, responsabili degli omicidi di Massimo D'Antona e Marco Biagi.
L'imputazione, per Papini, in particolare è quella di aver partecipato fin dal 1996 all'associazione terroristico-eversiva, tramite Diana Blefari Melazzi, donna con la quale aveva avuto una relazione sentimentale. Lei, dopo la sentenza definitiva all'ergastolo per l'assassinio di Biagi, si è suicidata lo scorso 31 ottobre, nella cella del carcere romano di Rebibbia, dove era stata trasferita da una decina di giorni.
Secondo quanto si spiega dal Comitato in favore di Papini, l'attrezzista, che è nel carcere di Siano, a Catanzaro, avrebbe fatto parte delle Br, come soggetto «in rapporto dialettico», vale a dire in posizione defilata non come militante organico; per ben 13 anni. In buona sostanza - si sottolinea - sarebbe stato un aspirante permanente all'ingresso nella banda, senza mai essere preso in considerazione. Papini non è accusato di aver commesso reati specifici dai quali si possa desumere la sua partecipazione all'organizzazione, il suo coinvolgimento è legato solo all'amicizia con la Blefari». Ma quell'attività - si spiega - è stata alla luce del sole, facendo comunicati, cercando di sollecitare e promuovendo interrogazioni parlamentari, sullo stato di salute della Blefari.
Gli aderenti al 'Comitato per Massimo Papini libero', aggiungono: «Lui è completamente estraneo alle Brigate rosse. La sua esperienza politica è quella delle 'aulette blue' dell'università di biologia, all'epoca del movimento della 'Pantera', alla fine degli anni '80 e nei primi '90. In carcere, in tutto questo periodo, continua a considerare questa situazione come kafkiana. E' preoccupato perché non sa come può andare a finire. E' difficile fronteggiare una accusa tanto vaga e tanto terribile».