4 maggio 2024
Aggiornato 09:00
L’Ossrvatore romano accusa: le discriminazioni risalgono all’Unità d’Italia

Il Vaticano: gli italiani razzisti senza saperlo

Ma stampa e politica a Rosarno non hanno fatto opera di prevenzione

L’ Italia dopo i fatti di Rosarno è attraversata da un dubbio intorno al quale si va concentrando la massima attenzione dell’opinione pubblica. Il dubbio è: siamo un popolo di razzisti?
A mettere carne al fuoco di questo dilemma ha contribuito anche l’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, che in un articolo propone una tesi innovativa quanto inquietante: non solo siamo razzisti, ma lo siamo da vecchia data, perlomeno dai tempi dell’unità d’ Italia.
E’ inutile dire quale vespaio di repliche e polemiche abbia suscitato questa posizione dell’autorevole giornale del Vaticano.

Il Corriere della Sera ha respinto il giudizio di Oltretevere con due note critiche. Nella prima, in poche righe a firma di Giovanni Belardinelli, il punto di vista dell’Osservatore Romano viene respinto poiché accusato di essere sostenuto da insignificanti spunti che vanno da Pirandello a Mussolini.
Nella seconda viene affidato al sociologo Giuseppe De Rita il compito di stroncare l’analisi del quotidiano vaticano attraverso un approfondimento la cui conclusone è: «non siamo crudeli, ma soffriamo di un senso di superiorità rispetto agli stranieri, soprattutto se sono poveri e neri». Insomma, sentenzia De Rita, «non è vero e proprio razzismo».

La polemica fra chi è d’accordo con l’Osservatore romano e chi invece lo contesta non è solo sterile, è mal fondata.
Ancora una volta infatti vengono ignorate le cause ed esaminati unicamente gli effetti.
L’episodio di Rosarno dimostra infatti che a monte di quanto è successo, o di quanto potrebbe accadere in futuro, non è la predisposizione o meno del popolo italiano al razzismo. Quando si sceglie la strada dello psicologismo per scandagliare le origini di certi avvenimenti si finisce inevitabilmente per depistare l’attenzione su elementi impalpabili e controversi.
Al vertice della questione razzista in Italia c’è invece un fondamento concreto di cui nessuno parla perché coinvolge gli stessi che oggi si sperticano in dotte letture e perentori giudizi su razzismo o non razzismo: questa causa scatenante si chiama indifferenza della politica e distrazione di stampa e televisione.
Il bandolo della matassa non va cercato nella pelle negli italiani, bisogna invece rintracciarlo nella noncuranza della politica nazionale rispetto a quella periferica e nella incapacità della stampa di fare il proprio mestiere. Un mestiere che diventa sempre più difficile per la complessità di una società così difforme come la nostra e pericoloso per la presenza di contropoteri criminali che vanno sotto il nome di mafia, ‘ndrangheta e camorra.

Lasciamo stare in questa sede il compito di difendere la legalità attraverso i riflettori della stampa. Oggi questo esercizio, ammesso che ci fossero organi di informazione disposti ad ospitare un giornalismo di contrasto alle cosche che imperversano, richiede un alta dose di eroismo e il caso Saviano ne è la prova vivente.
Veniamo invece a compiti che la stampa potrebbe assolvere senza correre alcun rischio se non quello di offrire un servizio alla comunità.
Ecco di che cosa parliamo: quanti di noi, lettori ma anche addetti ai lavori, sapevano della situazione esplosiva di Rosarno, delle condizioni di vita dei lavoratori stagionali, dei mandarini raccolti a un euro l’ora?
Quanti di noi sapevano dell’esistenza del pizzo del caporalato anche sull’euro l’ora?
Oggi tutto questo ci viene descritto dagli inviati dei grandi giornali come assodato, risaputo.
La stampa punta il dito sulle autorità locali, comunali, provinciali, regionali rivelando: sapevano perché non hanno agito in tempo?
Noi ce l’abbiamo la risposta a questo interrogativo. Non lo hanno fatto perché non ci sono stati una stampa e una informazione a pungolarli. Perché hanno potuto chiudere tutte e due gli occhi essendo al riparo del giudizio della pubblica opinione e dei loro stessi elettori.
Ma a chi deve spettare il dovere di informare su i mutamenti del territorio; di rendere visibili i comportamenti degli uomini pubblici e degli operatori privati; di sottoporre all’opinione pubblica l’operato di chi amministra, affinché al momento opportuno venga sanzionato o premiato con il voto?
Mai l’Italia è stato teatro di tanti mutamenti come in questo momento. Mai come ora i mezzi di informazione sono stati così distanti dal territorio e dai problemi quotidiani dei cittadini.
Che ci salvi santo Internet.