Forse Diana Blefari voleva collaborare
Aveva scritto a investigatori: «Sentitemi su Papini»
ROMA - Era pronta a collaborare con gli inquirenti Diana Blefari Melazzi, l'esponente delle nuove Brigate rosse che si è suicidata ieri sera nel carcere di Rebibbia. La donna lo avrebbe anche comunicato ufficialmente ai magistrati della Procura di Roma ed agli investigatori della Digos.
Il fatto risale ad alcune settimane fa. La disponibilità ad essere ascoltata riguardava Massimo Papini, 34 anni, finito in manette per l'accusa di partecipazione alla banda armata Br-Pcc. Papini, secondo chi indaga, era sentimentalmente legato alla Blefari Melazzi, secondo altri, tra i due c'erano soltanto una forte amicizia che durava da tempo, «almeno quindici anni».
La brigatista avrebbe dovuto essere interrogata in questi giorni ma la condanna definitiva all'ergastolo per il delitto Biagi aveva determinato un rinvio. Quello che si voleva chiarire riguardava una serie di contatti, con Papini, attraverso l'uso di schede telefoniche prepagate in maniera «dedicata», ovvero effettuando chiamate dirette a un solo interlocutore per evitare che si potesse risalire all'autore delle chiamate.
Un modus operandi, secondo gli investigatori, tipico dei brigatisti. Papini, tra l'altro, era stato trovato in possesso di programmi di criptazione per computer simili a quelli usati da altri appartenenti alle Brigate rosse. Inoltre l'uomo, attrezzista al cinema, avrebbe accompagnato la Blefari quando diffuse da un internet point la rivendicazione all'attentato al giuslavorista.
CONFERMA DELLA CONDANNA - Poche ore prima di togliersi la vita Diana Blefari Melazzi ha ricevuto una comunicazione ufficiale dagli uffici giudiziari di Bologna rispetto alla conferma in Cassazione, della condanna all'ergastolo per il suo coinvolgimento nell'omicidio di Marco Biagi. Il verdetto emesso dalla Suprema corte era stato comunicato anche da un legale, collaboratore dei suoi difensori Caterina Calia e Valerio Spigarelli, ma forse quel documento, quel pezzo di carta, potrebbe essere stato «la goccia che ha fatto traboccare il vaso», ha spiegato la penalista. «Diana non ha mai accettato questa condanna», ha detto l'avvocato Calia. Nel primo processo la Cassazione aveva annullato la condanna alla Blefari Melazzi, ritenendo che ci fosse una carenza di motivazione. Con la conferma però in appello del massimo della pena gli ermellini hanno a loro volta ribadito, il 27 ottobre scorso.