1 maggio 2024
Aggiornato 23:30
Presentato il programma di “Italia futura”: sarà un laboratorio di idee per modernizzare il paese

Montezemolo: né partito, né movimento politico

«Faremo proposte concrete e cercheremo l’appoggio trasversale dei partiti» annuncia il presidente della FIAT

Montezemolo non vuole fare un partito e non vuole fare un movimento politico.
Oggi il presidente della Fiat lo ha detto una volta per tutte e in una occasione solenne, cioè la prima uscita ufficiale di «Italia Futura», la fondazione a cui ha dato vita e sulle cui intenzioni si è discettato molto, anche prima del battesimo.
Oggi Montezemolo ha tracciato molto chiaramente gli scopi della fondazione, ha spazzato via ogni ombra sui remoti sbocchi dell’iniziativa e finalmente avrà fatto tirare un sospiro di sollievo a molti nelle stanze dei palazzi romani.
E’facile immaginarsi che in molti si saranno rallegrati di non vedere spuntare un altro temibile concorrente. Ma il senso di sollievo che il teatrino della politica ha provato è veramente ben riposto?

Noi crediamo che oggi, chi si è fregato le mani per la non-discesa in campo, rischia di dover pagare un prezzo molto più alto di quello che avrebbe dovuto pagare se oggi l’ex pupillo di Giovanni Agnelli avesse deciso di indossare la casacca della politica.
A sostegno di questa tesi basta fare due conti una simulazione. Partiamo dalla simulazione. Supponiamo che, al contrario, avesse scelto di catapultarsi nell’arena. Un attimo prima di affacciarsi nella Plaza de Toros Montezemolo avrebbe potuto esibire un palmares come pochi oggi in Italia sono in grado di vantare. Ha mangiato pane e pane e azienda a partire dalla culla. E’ stato sindacalista (fu nominato giovanissimo capo delle relazioni industriali della Fiat, con scarso successo a dire il vero); ha guidato la Cinzano; ha portato al successo team nautici come quello di Azzurra; ha organizzato eventi come i campionati di calcio di Roma; ha riportato e insediato sul podio la Ferrari. Ha fatto dell’azienda di Maranello, oltre che un simbolo del Made in Italy, il posto di lavoro che tutte le statistiche indicano come fra i più ambiti al mondo dai giovani laureati.
Inoltre, proprio nel momento delle vacche più magre, si è messo sul petto le due medaglie più prestigiose: primo, ha convinto la famiglia Agnelli, in rotta dopo la morte del’Avvocato e del fratello Umberto, a non abbandonare la nave nonostante in quel momento all’orizzonte non ci fosse che il baratro; secondo ha scelto dal mazzo Sergio Marchionne, un uomo al quale Obama ha affidato uno dei miti degli Usa.

Adesso passiamo ai due conti. Che cosa sarebbe successo di tutto questo un secondo dopo che avesse pronunciato le fatidiche parole «scendo in campo»? A dir poco i successi sarebbero stati annegati nel ricordo di nomignoli riesumati da una gioventù purtroppo lontana, quando per le chiome fluenti chi non lo amava lo chiamava «libera e bella». Per non parlare dell’accusa che gli hanno sempre mosso i suoi avversari, di essere cresciuto sotto l’ala protettrice dell’Avvocato.
Gli incentivi alla rottamazione dell’auto sarebbero tornati ad essere un problema e lo slogan (nemmeno tanto lontano dalla realtà) «profitti privati e perdite pubbliche» avrebbero ripreso forza.
Inoltre a Montezemolo non sarà scaduto dalla memoria il tonfo inflitto dalla politica a Umberto Agnelli quando decise di scendere a Roma. Né si sarà dimenticato che Giovanni Agnelli non cedette mai alla tentazione di sostituirsi a chi per anni aveva etero diretto da Torino, nonostante nei momenti peggiori in tanti gli tirassero la giacchetta.
«Non siamo e non vogliamo essere un partito. Non siamo e non vogliamo essere un movimento politico», ha detto Luca Cordero di Montezemolo. Lo ha detto e ripetuto due volte, perché sentissero anche i sordi.

Poi ha tessuto le lodi del governo: «E’ pienamente legittimato a governare per tutta la legislatura», ha precisato e le sue parole hanno assunto un suono speciale, visto che proprio in quelle stesse ore a poche centinaia di metri da Palazzo Colonna, dove stava presentando la sua creatura, la Corte Costituzionale prendeva una decisione che inevitabilmente alimenterà polemiche e voglia di ribaltoni.
«Italia Futura è nato esclusivamente per dare una risposta a questa domanda: come sarà l’Italia fra cinque anni?» ha precisato il suo fondatore.
Montezemolo ha detto «come sarà», ma poi si è prontamente tolto gli occhiali dell’osservatore distaccato per indossare la tuta da lavoro di chi vuol dire come «dovrà» essere. E nella stesura del progetto non ha mancato di esibire la determinazione di chi ha ben in testa l’intenzione di volere agire personalmente di calce e cazzuola per partecipare attivamente alla restaurazione.
Come?
Ogni tre mesi «Italia futura» organizzerà un grande meeting sui temi più scottanti del paese, a partire dalla scuola elementare, alla sanità, al turismo, all’ambiente, a tutti i temi importanti che la politica ingiustamente relega agli ultimi posti.
«Non ci impantaneremo in fumosi progetti accademici, ma faremo un pacchetto di proposte concrete intorno alle quali cercheremo l’appoggio trasversale dei partiti», ha specificato Cordero di Montezemolo e qui sta il nodo perché quella ricerca di trasversalità nei partiti su proposte condivise rimandano inevitabilmente a quel «partito del buon senso» a cui si è richiamato Pierferdinando Casini quando nei giorni scorsi ha messo intorno a uno stesso tavolo Massimo d’Alema e Beppe Pisanu.
«Non abbiamo intenzione di mettere insieme l’ennesimo partito inutile» ha ripetuto Montezemolo, ma poi ha sciorinato vizi e difetti di un paese bloccato che non può che essere rimesso in piedi da una riforma del sistema della quale ha lasciato intendere che il profilo è ben disegnato fin nei minimi dettagli.
Insomma ha tracciato il solco di un piano che non può che essere definito «progetto politico».
Sì, ma guai a chiamarlo partito.