4 maggio 2024
Aggiornato 04:00
Le domande «retoriche e palesemente diffamatorie»

Berlusconi dai giudici contro Repubblica, Pd: «Ci denunci tutti»

Causa alle 10 domande, Odg e Fnsi: «Vuole stampa addomesticata»

ROMA - Silvio Berlusconi porta le dieci domande di Repubblica in tribunale e chiede al gruppo l'Espresso un milione di euro di risarcimento. Il motivo? I 10 quesiti, che da mesi il quotidiano rivolge al premier e che hanno fatto il giro della stampa internazionale, sono, per i legali del capo del Governo, «retoriche e palesemente diffamatorie».

La scelta del Cavaliere provoca una vera e propria valanga di reazioni: «Ci denunci tutti», è la sfida lanciata dal Pd, mentre ordine dei giornalisti e Fnsi respingono «le intimidazioni». «E' la prima volta, nella memoria di un Paese libero, che un uomo politico fa causa alle domande che vengono rivolte», è la secca replica del direttore di Repubblica, Ezio Mauro, affidata a un editoriale in prima pagina dal significativo titolo 'Insabbiare'.

La decisione del premier suscita «apprensione e allarme» nei giornalisti italiani: il rischio, afferma Enrico Paissan vice presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, è che «vengano messi in discussione gli spazi di autonomia e di libertà di opinione e di stampa in Italia». Interviene anche la Federazione della stampa: «Da parte del Premier c'è una reiterata tendenza a considerare l'informazione un disturbo», denuncia il segretario Franco Siddi. «Il Presidente del Consiglio - gli fa eco il presidente Roberto Natale - porta alle estreme conseguenze la sua prepotente pretesa di sottrarsi alle domande scomode e riafferma una volta di più che nel suo mondo ha cittadinanza soltanto una informazione compiacente e addomesticata». La decisione del premier viene censurata anche da Federconsumatori, mentre Articolo 21 invita tutti i media italiani a pubblicare le 10 domande.

Netta la condanna del Pd, che compattamente punta il dito contro il premier ed esprime solidarietà al quotidiano di Largo Fochetti. Sulla vicenda intervengono uno ad uno tutt'e tre i candidati alla segreteria, a cominciare dal leader Dario Franceschini, che rilancia la mobilitazione di settembre e sfida il Cavaliere: «Ci troviamo di fronte ad una indegna strategia di intimidazione nei confronti di un singolo giornale, dell'opposizione e di chiunque difenda i principi di un paese libero che non ha precedenti in nessuna democrazia e che è anche un segno di paura e di declino. Il presidente del Consiglio non denunci solo 'Repubblica' ci denunci tutti».

Bersani - L'iniziativa del premier «mi pare inaccettabile e dieci volte sconsiderata», commenta Pierluigi Bersani. «E' di primaria importanza - aggiunge Ignazio Marino - difendere la libertà di stampa nel nostro Paese come fa la Repubblica. Oggi più che mai si ha bisogno di maggiore pluralismo e di completezza dell'informazione, piuttosto che di restringere gli spazi necessari alla formazione di un`opinione pubblica». E il vicecapogruppo al Senato, Luigi Zanda, annuncia che trasformerà le 10 domande in un'interrogazione parlamentare. Anche se, ammette, «il presidente del Consiglio non risponde né ai giornali né al Parlamento».

Critici anche Idv e Udc: si tratta di «una vergognosa aggressione» per il capogruppo dipietrista Massimo Donadi, che denuncia: «Questo giornalismo con la schiena dritta è inaccettabile per Berlusconi che ha costruito le sue fortune politiche sulla menzogna e la sistematica distorsione della realtà e che vorrebbe soltanto un giornalismo servile e prezzolato». Quello della querela è «un grave errore», per il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa, che avverte: «chi guida un Paese non pu essere allergico alle critiche, anche le più dure».

Intanto, sul sito di Repubblica viene pubblicato l'appello di tre giuristi, Franco Cordero, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, in difesa della libertà di stampa: «L`attacco a 'Repubblica' è interpretabile soltanto come un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare l`opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un`eccezione della democrazia», denunciano i tre giuristi.