5 maggio 2024
Aggiornato 15:00
Rai, Mediaset, La7 e Sky a confronto con il governo ombra

Tv, il futuro degli spettatori

La funzione di servizio pubblico che Mediaset rifiuta è cercata, rivendicata con orgoglio invece da LA7

Dove va la tv? La Rai è paralizzata dagli scontri politici in un CdA ormai decaduto, Mediaset che teme l’avanzata del web, La7 che deve ridurre le sue ambizioni per via dei debiti e SKY che macina ascolti e abbonati. Uno scenario in cui rischiamo di restare ai margini la qualità dei prodotti e il pluralismo, mentre la legge Gasparri «voluta e difesa dalle destre non ha risolto i problemi» come denuncia il ministro ombra delle Comunicazioni, Giovanna Melandri.

Claudio Petruccioli, presidente della Rai è convinto, dopo tre anni alla guida del servizio pubblico «che la politica debba fare un passo indietro, o saremo prigionieri delle discussioni sui consiglieri decaduti e reintegrati (il caso Petroni-Fabiani), invece che ragionare sulla qualità. E poi dobbiamo cambiare l’organizzazione: bisogna abolire il Direttore generale e passare all’Amministratore Delegato». In base al codice civile non sarebbe solo unc mabio di sigle: il Consiglio di Amministrazione Rai può deliberare solo su proposta del Direttore generale. E ogni proposta del DG può passare solo con l’ok del CdA. Un cane che si morde la coda che per Petruccioli porta» a una simbiosi e una contrattazione continua. L’AD ha invece die poteri che gli attribuisce il CdA con delle deleghe e lavorerebbe più agilmente. Basta pensare che oggi in Rai ci sono 150 dirigenti nominati con delibere del CdA. 150!» Petruccioli ente stretta una Rai indicata dai media come un’azienda «ma che è un pezzo della pubblica amministrazione, sottoposta al controllo della Corte dei Conti. Ci sono delle responsabilità e quando ci comportiamo come un’impresa lo facciamo sempre rischiando un’azione giudiziaria. Fate diventare la Rai un’azienda!»

Per Mediaset assente il presidente Fedele Confalonieri, è intervenuta Gina Nieri, la vicepresidente,a cui il moderatore, Emilio Carelli, direttore di skytg24 ha chiesto: «Quali prospettive avete?non state Esordendo ha attaccato gli analisti finanziari che hanno giudicato timida l’azienda, seduta sugli allori della grande raccolta pubblicitaria e di un premier che risponde al nome di Silvio Berlusconi: «Chi ci valuta è responsabile di disastri finanziari come i derivati, i mutui subprime. Hanno creato la finanza del niente mentre noi i contenuti ce li abbiamo. Insomma Mediaet ha fiml, format , fiction e un’informazione professionale». Un’idnetità in cui non c’è la funzione formativa-pedagogica «che la Rai ha dagli anni ’50» .
Poi è tornata ad attaccare internet: il nostro modello si basa sui diritti di proprietà intellettuale e su prodotti esclusivi. Un modello attaccato dia video sul web, se abbiamo denunciato YouTube è perché ha 19.256 ore di video di mediaset online». Una scelta che ha creato sconcerto sui media e che ha portato alle dure critiche del segretario del PD, Walter Veltorni, che ci ha visto la paura di un mondo nuovo. Ma la Nieri è convinta: «Abbiamo cercato un compromesso e l’hanno rifiutato, allora alziamo le mani! Senza diritto d’autore serve un nuovo modello o mettiamo a rischio il finanziamento dell’industria televisiva a favore di contenuti liberi».

La funzione di servizio pubblico che Mediaset rifiuta è cercata, rivendicata con orgoglio invece da la7 e dal suo attuale direttore, Giovanni Stella, al comando da pochi mesi con l’obiettivo di ridurre i debiti: «Abbiamo il 3% degli ascolti secondo Auditel e i conti in rosso, ma la tv è fondamentale per Telecom, con un ruolo di nicchia con forte attenzione al pubblico adulto, acculturato e sensibile ai grandi temi, con programmi che hanno una funzione di servizio civile e di tv generalista». Per Stella il futuro vedrà il superamento dello «spettatore passivo. Ci sarà l’iptv, la tv via web, che ci farà diventare uno strumento d servizio per la telemedicina, l’apprendimento e la formazione».

Tom Mockridge, che guida Sky Italia dalla sua nascita 5 anni fa ha ovviamente messo l’accento sul ruolo del libero mercato: «tutto nella tv dipende dalla scelta degli spettatori, come per i nostri abbonamenti. Ci sarà una scelta sempre più ampia nella tv tradizionale e in altre forme sia per una maggiore disponibilità di banda larga e di programmi via web, sia per il passaggio al digitale.

La voce agli spettatori l’ha data Giovanna Melandri: «davanti alla tv il cittadino se deve valutare la qualità complessiva dell’offerta, che è parte della qualità democratica di un paese, la vede scaduta. Le criticità dell’offerta sono quelle dell’Italia. E il servizio pubblico? Non esiste in Europa uno come il nostro! Dobbiamo liberare la Rai dal giogo dei partiti, magari con l’amministratore unico e la Fondazione proposti da Veltroni. Invece la legge Gasparri è stata un passo indietro da un punto di partenza già critico. Non possono esserci due tre canali generalisti con un finanziamento pubblico e la pubblicità. Purtroppo i tetti di affollamento pubblicitario non hanno consentito la crescita di un sistema sano, basta guardare ala via stretta di La7, che ha trovato un tetto di cristallo a firmarla. Così il cittadino non ha avuto una cosa normale: il pluralismo di mercato senza pay tv. Lo scenario cambierà con la tv digitale ma noi politici abbiamo il dovere di combattere il divario digitale, di evitare una spaccatura tra spettatori ricchi che accedono a contenuti pregiati, sport, film e una massa che può guardare solo una tv gratuita impoverita». La Melandri ha rivendicato i meriti del centrosinistra nel settore: «Fino a 10 anni fa avevamo una tv dominata dalle soap opera brasiliane, poi con la legge 122 che ha obbligato Rai e Mediaste a produrre in Italia si ès sviluppata una fiction di qualità. Ora lancio una sfida alla maggioranza: apriamo una nuova stagione di regolamentazione pubblica, per il bene dell’Italia. Una cabina di regia come quella che negli anni ’60 diede al paese infrastrutture e autostrade: serve per la banda larga, per l’alfabetizzaizone, le reti. Cosa vuol fare il sottosegretario alle comunicazioni, Paolo Romani? Non lo so. Noi pensiamo a una nuova legge di sistema».