18 agosto 2025
Aggiornato 13:30
Il ddl sull'antiterrorismo mette Internet sul banco degli imputati

Mapelli: la rete è a rischio, ma può anche salvarci

Il ddl antiterrorismo prevede forti controlli del web e delle comunicazioni che vi avvengono. Secondo il Segretario dell'Associazione Italiana Professionisti Sicurezza Informatica, tale «stretta» è legittima. Perché la rete è di per sè neutra, può essere addirittura uno strumento di prevenzione e contrasto della criminalità, ma, se usata dai terroristi, può diventare molto pericolosa.

ROMA – Ddl antiterrorismo, una norma destinata a far discutere, e soprattutto per quanto attiene alla difesa della privacy. D’altronde, si sa, i provvedimenti antiterrorismo tendono, per propria natura, a restringere eccezionalmente il campo del diritto e delle libertà, per far fronte a una situazione emergenziale. Al di là dei dibattiti sulla legittimità di tale comportamento, in questo caso il primo «diritto» a saltare sembra proprio essere quello alla privacy, visto quanto stabilito dal ddl: la polizia potrà infatti utilizzare programmi per acquisire «da remoto» le comunicazioni e i dati presenti in un sistema informatico e verrà anche autorizzata l’intercettazione preventiva sulle reti informatiche. Il pubblico ministero potrà conservare i dati di traffico fino a 24 mesi. I provider su Internet saranno obbligati a oscurare i contenuti illeciti legati ai reati di terrorismo, pubblicati dagli utenti. L’uso del Web e di strumenti informatici per perpetrare reati di terrorismo diventerà un’aggravante che comporta l’obbligo di arresto in flagranza. Ma quanto la rete può considerarsi davvero «colpevole» di coadiuvare il terrorismo? A rispondere, Maurizio Mapelli, Segretario dell’Associazione Italiana Professionisti Sicurezza Informatica (Aipsi). «La rete non è mai colpevole di per sé. In web è uno strumento di comunicazione, ma di per sé è solo un ‘medium di trasporto’, e dunque neutro da questo punto di vista».

MAPELLI: LA RETE È NEUTRA, MA PUÒ CADERE NELLE MANI SBAGLIATE - Ciò non significa che, però, il web non possa rivelarsi utile ai criminali e ai terroristi. «Che poi possa essere utilizzato per azioni terroristiche, questo sì». La rete, spiega il dottor Mapelli, «può essere utilizzata per attacchi di diversi generi. Ce ne sono davvero tanti». In effetti, secondo Gabriel Weidmann, autore del volume Terror on the internet, la rete ha per il terrorismo internazionale molteplici funzioni: serve alla promozione, all'intimidazione, al reclutamento di nuovi simpatizzanti e adepti, nonché a raggiungere il massimo effetto destabilizzante con il minimo sforzo. Nel mondo post-11 settembre, la maggior parte gli attacchi terroristici vengono amplificati dai media, trasformando il meccanismo della produzione di notizie nella più nuova arma dell’arsenale terroristico. E con l’avvento di Internet, l’asimmetrica strategia della comunicazione del terrorismo ci ha soltanto guadagnato.

SERVONO CONTROLLI SERI - La Jihad 2.0 è così divenuta più veloce, più economica, anonima e soprattutto globale. Secondo Weidmann, il cyberspazio sarebbe addirittura collettore di professionisti di raccolta fondi che reclutano, indottrinano e strumentalizzano nuovi soci. Grazie alla sua struttura decentralizzata e all’offerta di piattaforme multimediali, Internet si propone come la nuova arena per qualsiasi tipo di attività terroristica. La lista delle funzioni utili che la rete ha per il terrorismo è lunga: dal «data mining», una semplice collezione di dati utili - come gli orari di tutti i mezzi di trasporto pubblico o carte con possibili obiettivi terroristici (centrali nucleari, porti, edifici pubblici) -, il «networking», l’accesso a istruzioni e manuali on line, fino all'opportunità di scaricare video, libretti, manuali su come costruire bombe o droni.  Weimann ritiene addirittura possibile, via internet, la concreta pianificazione, il coordinamento e l’esecuzione degli attentati. In tale panorama, nonostante le tante critiche di attacco alla privacy, la stretta che il ddl antiterrorismo pratica sul web può considerarsi giustificata? «Purtroppo sì», risponde il dott. Mapelli. «Così come sulle autostrade c’è la polizia e i carabinieri, anche la rete internet deve essere controllata e regolamentata, proprio perché è uno strumento a disposizione di tutti, che può rivelarsi utile ai malintenzionati. E’ necessario gestire il problema».

IL WEB PUÒ ESSERE ANCHE STRUMENTO DI CONTRASTO - Dall’altro lato, però, la rete può essere anche un potente strumento di contrasto al terrorismo. «Essendo un mezzo che mette in comunicazione e diffonde conoscenze, permette anche di mettere in atto delle contromisure. Ci sono tantissimi strumenti che possono concorrere a questo scopo: ad esempio, i sistemi di controllo della polizia delle telecomunicazioni, ma anche strutture non tanto di limitazione delle comunicazioni, quanto di controllo dei siti web e delle applicazioni che ora sono diffuse anche sugli smartphone», spiega il Segretario dell’Aipsi. Insomma, come quasi ogni cosa, internet ha due facce: «Da un lato può essere utilizzato per creare danno; d’altra parte, però, può anche essere uno strumento prezioso nelle mani delle forze di contrasto per riuscire a prevenire o a combattere le operazioni criminali», afferma il dott. Mapelli. Di certo, però, il controllo sul web non sarà facile, anche perché il ddl antiterrorismo lo demanda in parte ai provider, con l’obbligo di oscurare contenuti illeciti. «E’ sicuramente una cosa complicata. Dare ai provider questo compito di controllo non è per nulla semplice. Più fattibile, invece, che vengano date indicazioni specifiche su quali siano i percorsi più rischiosi. Ma che i singoli provider siano in grado di controllare e selezionare i contenuti potenzialmente illeciti è difficile. Esiste una legislazione simile anche per il contrasto alla pedopornografia; tuttavia, che i provider siano effettivamente in grado di farlo, se pure sarebbe auspicabile, la vedo difficile», conclude il dott. Mapelli.