Immigrazione, prima ancora della Libia il problema è il Niger
Non è un caso che il governo Gentiloni abbia stretto un'intesa da 50 milioni con il Niger, Paese ostaggio di trafficanti e calcato dalle rotte che arrivano in Libia. Ma la situazione è tanto difficile che quell'accordo, da solo, difficilmente sarà efficace

ROMA – Lo scorso aprile, il governo presieduto da Paolo Gentiloni ha firmato un accordo con il presidente del Niger Mahamadou Issoufou. Un accordo che ha avuto straordinariamente meno risonanza di quello con la Libia di Faiez al-Serraj, o di quello – promosso dalla cancelliera Angela Merkel – con la Turchia di Erdogan. Eppure, ne avrebbe meritata molta di più. Perché il Niger è il principale crocevia delle rotte migratorie che raggiungono la Libia, per poi raggiungere l'Europa attraverso l'Italia. Una tappa obbligata per le migliaia di disperati che raggiungono il nostro Paese ogni giorno, di cui, tuttavia, si parla ancora troppo poco.
L'intesa con il governo italiano
L'intesa firmata dal governo italiano e da quello del Niger prevedeva 50 milioni di euro a quest'ultimo in cambio del rafforzamento della frontiera a sud della Libia. Versamento condizionato, però, dal rispetto dell'impegno preso dall'esecutivo del Paese africano nel contrastare il traffico di migranti e disincentivare il flusso migratorio. Ed è proprio in quest'ottica che, lo scorso marzo, è stata riaperta l'ambasciata italiana in Niger.
Soluzione non a portata di mano
Eppure, accordo a parte, la soluzione non sembra a portata di mano. Perché la verità è che il Niger è sempre stato, tradizionalmente, un vero e proprio porto franco per i migranti nel cuore dell'Africa, con controlli e operazioni anti-traffico praticamente assenti. Lo stesso si dica per le iniziative di soccorso, perché molti migranti, in quel deserto, finiscono per perdere anche la vita.
Un territorio sterminato, attraversato dal deserto
In effetti, al di là delle buone intenzioni, non è affatto detto che l'intesa promossa dal governo Gentiloni darà i suoi frutti. Innanzitutto perché il Niger è un territorio vasto circa 4 volte l'Italia, con il Nord del Paese occupato per due terzi dalle propaggini meridionali del deserto del Sahara. La parte settentrionale del Niger, dunque, è assai poco controllabile, soprattutto con i pochi mezzi di cui dispone il Paese: il territorio è infatti occupato da tribù tuareg, ed è stato, tra gli anni Novanta e i primi Duemila, terreno fertile per la guerriglia. E da quando Gheddafi è caduto, quella parte del Niger, confinante con la Libia, è stata letteralmente invasa dai trafficanti di esseri umani.
Non meno trafficanti, ma più nascosti
E' in particolare la città di Adagez, a 800 km dal confine libico il centro nevralgico del traffico: qui, infatti, hanno sede le organizzazioni di trafficanti deputate a far proseguire ai migranti il loro viaggio. Non è un caso che l'attività economicamente principale della città – il turismo – non attecchisca più: ora è il traffico sommerso di esseri umani a dominare. In un reportage dello scorso maggio, La Repubblica raccontava come la sensazione dei commercianti e dei sindaci locali fosse che il flusso migratorio – che portava con sé acquisti , operatori internazionali e dunque soldi – sia diminuito. In realtà, si è solo spostato, per diventare più sommerso e quindi difficilimente intercettabile dall'esercito nigeriano, passando in mezzo al deserto. E nel deserto, è molto più difficile fermare, ma anche soccorrere i migranti. Per chiunque, figurarsi per uno dei Paesi più poveri dell'Africa.
Un traffico difficile da contrastare
Il contributo del governo italiano, insomma, dovrebbe essere un primo passo per rendere tale prospettiva realizzabile. Ma è difficile che funzionerà davvero. I trafficanti sono sempre più numerosi e spietati, e dalla loro hanno il deserto che li nasconde, battuto a bordo di pick up sempre più efficienti. Una volta arrivati lì, i migranti si sentono raccontare che Lampedusa è vicina, è «dall'altra parte del fiume», e da lì si arriva in Europa. E invece, manca ancora molto: manca la Libia. Dove le torture sono di casa. Il resto del percorso lo conosciamo bene: se ne parla ogni giorno. Molto più di quanto si parli del Niger, che per i migranti, ben prima della Libia, costituisce una vera e propria autostrada.
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