20 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Dopo il fallimento Obama-Clinton

L'ultima speranza per la Libia è Donald Trump?

Il tycoon che tanto divide l'Occidente gode invece di una certa popolarità in Libia. Donald Trump, capace di suscitare le speranze tanto di Serraj quanto di Haftar, potrebbe forse imboccare la strada giusta per pacificare il Paese

TRIPOLI – Se per stessa ammissione di Barack Obama lo scellerato intervento per destituire Gheddafi nel 2011 ha finito per (letteralmente) «combinare un casino», la Libia sarà probabilmente uno dei fronti caldi con cui l'amministrazione di Donald Trump dovrà misurarsi. In campagna elettorale, il magnate non ha risparmiato piccate critiche alle rocambolesche avventure belliche mediorientali e nordafricane che hanno avuto come unico risultato quello di spargere ulteriormente i semi dello jihadismo. E anche sul destino del gigante nordafricano, Trump ha già avuto modo, pur brevemente, di esprimersi nei mesi passati.

Trump: togliamo il petrolio all'Isis. Sì, ma poi?
«Chi possiede il petrolio in Libia? L’Isis. Se l’Isis ha il petrolio perché non facciamo un blocco navale per impedirgli di venderlo? Perché non facciamo vedere i sorci verdi all’Isis a suon di bombe?», ha dichiarato l'allora candidato alla presidenza. Un'analisi, si dirà, a dir poco semplicistica, che ben poco anticipa di quella che sarà la strategia del magnate, dopo il sostanziale disinteresse obamiano. Anche perché, bisogna dirlo, l'Isis è solo uno dei tanti problemi della Libia, e, dopo averlo sconfitto del tutto, si porrà però l'annosa questione di come stabilizzare e unificare il Paese.

Perché in Libia Trump piace più che Obama e Clinton
Eppure, il tycoon che tanto divide l'Occidente sembra essere piuttosto popolare in Libia. Certamente, molto più di quanto lo fosse Hillary Clinton. Uno dei motivi è facilmente immaginabile: l'ex segretario di Stato ha caldeggiato presso il presidente Obama l'intervento del 2011, ed è dunque associata con lo status quo e con la fazione di Misurata. Fazione che sostiene il Governo di Unità Nazionale di Serraj, il quale è però ancora incapace di conquistarsi l'appoggio dei tanti gruppi rivali e della base, rischiando di apparire un fantoccio dell'Occidente. C'è da dire, inoltre, che il secondo mandato di Obama ha decisamente trascurato la questione libica, almeno fino ai bombardamenti estivi per liberare la città di Sirte dai jihadisti dell'Isis. Di certo, gli Usa a guida Obama si sono dimostrati del tutto incapaci di esercitare una leadership efficace e credibile sugli aspetti politici ed economici della transizione del Paese.

Su Trump le speranze di Serraj e Haftar
In effetti, Trump al momento suscita le speranze di schieramenti rivali. Da un lato, il Governo di Unità Nazionale di Faiez al Serraj, sostenuto dalle Nazioni Unite, si augura che il nuovo Presidente continuerà sulla via indicata da Obama negli ultimi mesi con i bombardamenti anti-Isis e con il sostegno al suo esecutivo. Dall'altro lato, il generale Khalif Haftar, che, sostenuto da Russia ed Egitto, controlla la Cirenaica e si oppone al Governo Serraj, secondo la Reuters è stato tra i primi a congratularsi per la vittoria di Trump. Forse perché spera che un riavvicinamento tra Mosca e Washington possa spingere quest'ultima a cambiare la propria posizione in Libia, allineandola a quella di Putin.

L'Isis è in grande difficoltà, ma il caos rimane
Certamente, se e quando lo Stato islamico verrà definitivamente espulso dal Paese, a Trump si porrà una sfida ancora più ingente: quella di trovare un piano di pacificazione in un'autentica polveriera pronta ad esplodere. Del resto, il momento è maturo. Sirte è ormai praticamente libera dall'Isis e la produzione di petrolio è ripresa. La situazione, però, rimane decisamente complicata. Il Governo di Unità Nazionale è sempre più vicino al collasso: il 2 gennaio scorso, il vice primo ministro si è dimesso in diretta tv; il giorno successivo, l'Esercito Nazionale Libico, allineato con il Parlamento di Tobruk (di cui Haftar è l'espressione militare, e che mai ha riconosciuto il Governo), ha bombardato un aereo civile che stava trasportando ufficiali da Misurata, dove hanno sede le milizie che sostengono l'esecutivo di Serraj.

Il petrolio nelle mani delle fazioni dell'Est obbligherà l'Ovest a negoziare?
Oltretutto, negli ultimi mesi l'Esercito Nazionale Libico ha ottenuto il controllo dei giacimenti petroliferi, degli oleodotti e dei terminali, necessari perché lo Stato possa ricostruirsi economicamente. Un'immensa ricchezza che al momento non è, dunque, nelle mani del Governo centrale, ma delle fazioni dell'Est. D'altra parte, tale circostanza potrebbe anche favorire un ritorno al tavolo negoziale, prima che la posizione dell'Ovest libico degradi ulteriormente: un'opportunità che Trump potrebbe sfruttare nei prossimi mesi.

Per Trump ottime ragioni per occuparsi di Libia
Il nuovo Presidente Usa potrebbe avere, almeno all'inizio, gioco facile a coinvolgere tutte le fazioni, visto che, come abbiamo detto, tanto Haftar quanto Serraj contano sul suo sostegno. A sua volta, Trump ha ottime ragioni per occuparsi della Libia, nonostante la sua almeno apparente propensione al disimpegno: innanzitutto perché Paesi come Tunisia, Egitto e Algeria stanno seriamente rischiando di rimanere contagiati dall'instabilità libica, e ciò aumenta esponenzialmente la possibilità che l'Isis possa attecchire in altre zone del Maghreb. Contemporaneamente, la Russia sta diventando sempre più protagonista nel dossier, fornendo un più consistente appoggio politico (e logistico) al generale Haftar: e anche se Trump ha più volte dimostrato di voler archiviare la «nuova guerra fredda» attualmente in corso, questo non sembra ragione sufficiente per pensare che rinuncerà ad assicurare agli Usa una prestigiosa posizione di peso nel raggiungimento di un accordo.

Un cambio di passo per gli Usa in Libia?
Certamente, la sfida non è da poco. Perché oggi gli Stati Uniti, in Libia, sostengono un Governo che ha sì legittimazione internazionale (attraverso l'Onu), ma che ha scarsissimo controllo sul territorio e non ha legittimità né rappresentanza popolare. E' dunque possibile che la strategia di Trump segni un cambio di passo decisivo rispetto a quella di Obama, magari riconoscendo che nessuna fazione – neppure quella di Serraj – abbia un diritto esclusivo di legittimità politica nel Paese. Ad oggi, i due principali poli di potere – quello di Haftar ad Est e delle milizie di Misurata ad Ovest – continuano a fronteggiarsi perché sembrano incapaci di scalzare i rivali. Contemporaneamente, il riconoscimento unilaterale di una sola parte politico-militare rischia di congelare la situazione e allontanare la prospettiva, comunque difficile, di un accordo. Accordo che Obama non è stato in grado di assicurare, e che, come pare, i libici sperano potrà essere favorito proprio dal suo successore Trump.