18 aprile 2024
Aggiornato 06:00
Ecco che fine fanno tanti ex detenuti di Guantanamo

Arabia Saudita, quelle prigioni-resort di lusso per «riabilitare» (cioè «reclutare») i terroristi

Un ex detenuto di Guantanamo affiliato ad Al Qaeda ha denunciato che il programma riabilitativo saudita per (ex) terroristi (svolto in lussuose strutture detentive) ha in realtà tutt'altro scopo

RIAD - Nuoto, ping pong, «art-therapy», tre pasti al giorno, suite lussuose con enormi TV a schermo piatto, PlayStation, letti degni di re e luccicanti tappezzerie. No, non stiamo parlando di un costoso resort per vacanzieri esigenti e generosi. Stiamo parlando di prigioni di massima sicurezza per jihadisti in Arabia Saudita.

Un resort vacanziero o una prigione per terroristi?
Stando alla descrizione tratteggiata dal New York Times, ciò che distingue la cosiddetta «Family House» da un hotel di lusso è giusto la mancanza di finestre e le spesse mura che circondano la location. Per il resto, è difficile considerare quel luogo una prigione, o perlomeno avvicinarla a quello che nel nostro immaginario potrebbe assomigliare a un luogo di detenzione per pericolosi terroristi. E questo la dice lunga sull'atteggiamento, per usare un eufemismo, «costroverso» che Riad mostra da sempre verso i simpatizzanti della jihad.

Una riabilitazione che assomiglia più a una vacanza di lusso
L'intento della struttura, ufficialmente, è riabilitativo. Il luogo, cioè, sarebbe pensato per offrire agli ex (si spera) jihadisti la possibilità di reintrodursi gradualmente nella società e rientrare in contatto con le loro famiglie, concedendo loro una tregua dalla dura vita di detenuti. Addirittura, nella prigione di al-Ha’ir, a Sud di Riad, gli «ospiti» hanno diritto anche a dei benefit, come uno «stipendio» mensile di 400 euro per spese accessorie e la possibilità di una «liberazione temporanea» per impegni di famiglia. Un detenuto, riporta il New York Times, per recarsi al matrimonio di un parente ha ricevuto addirittura una «mancia» da 2666 euro per poter comprare un regalo.

Per Riad i terroristi sono ospiti di prima classe
Coloro che hanno compiuto i propri misfatti all'estero e non hanno partecipato ad attacchi in patria vengono generalmente considerati, nel regno dei Saud, come «pecorelle smarrite» che devono essere aiutati nel correggere i loro pensieri e comportamenti, ed accompagnati nel percorso di reinserimento sociale. I problemi cominciano a voler verificare l'efficacia di quest'approccio. Perché, anche partendo da un presupposto di legittimità del fine riabilitativo della pena, è sotto gli occhi di tutti come gli standard di simili strutture siano infinitamente più elevati di quelli delle normali prigioni, specialmente in un Paese come l'Arabia Saudita, le cui carceri in passato sono balzate all'onore delle cronache per le pessime condizioni logistiche e igienico-sanitarie, e che è spesso nel mirino delle ong per la sua scarsa propensione al rispetto dei più basilari diritti umani. Strano, insomma, che Riad mostri sincera e disinteressata considerazione proprio per quelli dei detenuti ex terroristi.

La denuncia dell'ex detenuto di Guantanamo
Il sospetto che strutture come quelle sopra descritte servano, in realtà, a ben altro è venuto anche al Daily Mail, che ha riportato la testimonianza rivelatrice di un ex detenuto di Guantanamo affiliato ad Al Qaeda, Abdollah Ghassan al-Sharbi, secondo cui «il programma di riabilitazione organizzato dal Centro per la consulenza e l'assistenza del principe ereditario Nayef bin Mohammed, che si ritiene abbia un ruolo chiave nella lotta contro il terrorismo, non è quello che sembra nella realtà». La possibilità di accedere al programma di cui parla Al-Sharbi è nata grazie al «Periodic Review Board», una procedura voluta da Obama nel 2011 che consente di accordare, ad alcuni detenuti del complesso di Guantanamo, la possibilità di essere rilasciati o trasferiti.

Altro che riabilitazione: è reclutamento
Così, decine di ex prigionieri della struttura statunitense sull'isola cubana, tra cui l'ex guardia del corpo di Osama bin Laden, sono stati integrati nel programma come condizione per il loro rilascio. Complice, il tentativo di Barack Obama di chiudere Guantanamo prima della fine della sua amministrazione. Ma secondo Al-Sharbi, le finalità di quelle strutture sono tutt'altro che riabilitative. Nessun fine di deradicalizzazione, insomma, ma, piuttosto, un programma di radicalizzazione e reclutamento sotto mentite spoglie.

Come Riad sostiene il terrorismo
L'ex detenuto di Guantanamo ha addirittura affermato di essersi rifiutato di intraprendere il percorso di riabilitazione, articolato in 12 passaggi, temendo che sarebbe stato utilizzato per combattere come mercenario «sotto il manto reale saudita». «Vi diranno orgogliosamente che vogliono combattere il terrorismo. Significa che lo sosterranno», ha spiegato. Al-Sharbi ha anche aggiunto che i combattenti vengono reclutati per combattere contro gli iraniani in Yemen e in Siria. Secondo il Post, almeno il 20% di coloro che sono passati per il programma di riabilitazione sono tornati al jihadismo una volta rilasciati. E non c'è nemmeno troppo di cui stupirsi: le prove che l'Arabia Saudita, inossidabile alleato dell'Occidente e generoso cliente della sua industria bellica, sia uno dei più grandi sponsor del terrorismo islamico non mancano di certo. Ne abbiamo solo aggiunta l'ennesima.