25 aprile 2024
Aggiornato 02:30
Neppure i poteri forti l'hanno salvata

Bye-bye Hillary, neanche Goldman Sachs e l'Arabia Saudita ti hanno salvata

Sembrava impensabile: come avrebbe potuto un personaggio bizzarro come Donald Trump, odiato e isolato da media e politica, vincere la donna dei poteri forti Hillary Clinton?

La sconfitta alla Casa Bianca Hillary Clinton
La sconfitta alla Casa Bianca Hillary Clinton Foto: Shutterstock

NEW YORK - E' stata una campagna elettorale sorprendente, del tutto fuori dagli schemi, dominata da scandali, rivelazioni, accuse reciproche e colpi bassi. La sfida tra Hillary Clinton e Donald Trump inaspettatamente conclusasi a favore di quest'ultimo ne ha viste letteralmente di tutti i colori: da attacchi hacker di matrice (pare) russa, ad accuse di molestie sessuali, e-mail dal contenuto non proprio edificante per un ex segretario di Stato aspirante Presidente, gaffe clamorose da entrambe le parti (per la Clinton si ricordi l'uscita sugli elettori «miserabili» del rivale, per Trump c'è solo l'imbarazzo della scelta), l'Fbi che annuncia in extremis una clamorosa riapertura delle indagini sulla candidata democratica e chi più ne ha più ne metta.

Hillary, la donna dei poteri forti infine sconfitta
Eppure, fino a ieri sera tutto il mondo si aspettava di vedere una Presidente donna sedersi nello Studio Ovale. Un pronostico supportato dai sondaggi (il New York Times assegnava l'85% delle chance alla Clinton), ma anche, per così dire, dal buon senso. Perché mai - si pensava - un personaggio discusso e controverso come Donald Trump avrebbe potuto battere una donna di potere come Hillary Clinton, discussa e controversa anche lei, ma di certo più presentabile e presidenziale? Una donna peraltro che, dalla sua parte, vantava schierati la grandissima parte dei media nazionali e internazionali, poteri forti, banche e finanza, e, più o meno esplicitamente, i più grandi alleati degli Usa in Europa e non solo.

Tra i suoi supporters, banche, hedge fund, Wall Street e...
La schiera dei suoi sostenitori è lunga e controversa. Si consideri, ad esempio, il report della Federal Election Commission, secondo cui, a fine 2015, Hillary si è intascata la bellezza di 21,4 milioni di dollari da hedge fund, banche, compagnie di assicurazione e altre società di servizi finanziari. Se si considera l'insieme delle donazioni ricevute nel 2015 da soggetti collegati a Wall Street e ad altre società finanziarie, la cifra arriva a 44 milioni di dollari. Qualche mese fa, il Washington Post sottolineava come la Clinton, nonostante le sue piccate critiche ad aziende come Pfizer e Johnson Controls reduci da fusioni aziendali, non si fosse fatta troppi problemi ad accettare 100mila dollari da Blair Effron, socio fondatore della Centerview Partners, una delle società di investimento che ha fatto da consulente nelle operazioni delle stesse Pfizer e Johnson Controls. Non il migliore biglietto da visita, insomma, per una candidata già frequentemente accusata di essere la rappresentante delle banche, delle élites e dei poteri forti.

... Goldman Sachs
Per non parlare, poi, dell’inchiesta del Washington Post che cita lauti pagamenti ricevuti dall’ex segretario di Stato in occasione di discorsi organizzati da banche e società finanziarie dal 2013 ad oggi. La cifra esatta sarebbe 3,7 miliardi di euro: di questi, 675mila dollari provengono da Goldman Sachs, e sono stati sborsati dopo tre orazioni. Del resto, Goldman Sachs ha lautamente rimpolpato le casse della Clinton Foundation.

L'influenza dei sauditi (a molti zeri)
Ma Hillary non vanta illustri supporters soltanto tra finanzieri e banchieri. Tra i suoi più fervidi sostenitori, bisogna citare anche il grande e controverso alleato degli Stati Uniti, l'Arabia Saudita. Già nei mesi scorsi Donald Trump ha accusato la rivale di ricevere denaro da cotanto alleato. Non direttamente, certo: la legge americana vieta ai cittadini stranieri di contribuire alle campagne elettorali americane, proprio per conservarne (almeno apparentemente) il più possibile l’indipendenza. Ciò non significa, però, che alle potenze straniere rimanga del tutto interdetta la possibilità di influenzare nei fatti le elezioni americane: basta una donazione a una fondazione collegata al candidato. Una come la Clinton Foundation. I cui legami con Hillary vanno ben oltre il nome dell'organizzazione.

Tra Hillary e Riad, la mano della Fondazione
A dimostrarlo, non c’è solo il fatto che la Fondazione sia stata fondata da Bill Clinton, che, con la figlia Chelsea, ancora vi lavora. E neppure il fatto che, dal 2013 al 2015, l’organizzazione si chiamava eloquentemente «Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation», e la stessa Hillary sedeva nel consiglio di amministrazione. Perché, dalle stesse e-mail della candidata democratica, si evince che il suo staff era in contatto con il funzionario dell’organizzazione Doug Band, che, dai collaboratori della Clinton, cercava di ottenere svariati favori. Tra i quali un canale diretto con il Dipartimento di Stato per Gilbert Chagoury, miliardario libanese-nigeriano che ha generosamente finanziato la Clinton Foundation, nonché la campagna di Bill.

Filantropi sospetti
Appurati dunque gli evidenti legami tra Hillary Clinton e la fondazione del marito, non sarà difficile interpretare la natura delle cospicue donazioni di provenienza saudita che hanno rimpinguato le casse dell’organizzazione. Secondo la lista dei donatori sul sito della Fondazione, la cifra in questione è compresa tra i 10 e i 25 milioni di dollari. La Fondazione ha però ricevuto lauti finanziamenti anche da Algeria, Kuwait, Oman e Qatar, mentre la Clinton era Segretario di Stato. Nella lista, compare anche lo sceicco saudita Mohammed Hussein al-Amoudi, al 63esimo posto nella classifica delle persone più ricche del mondo. Al-Amoudi vive tra l'Arabia Saudita e l'Etiopia, ed è il secondo più ricco cittadino saudita: non a caso, il titolo di sceicco gli è stato attribuito per la sua ricchezza e i successi, e ha ottenuto la sua fortuna grazie al grande portafoglio delle attività petrolifere, minerarie e agricole. Un ammirevole filantropo, se non fosse per una sospetta contiguità con ideologie radicali.

Ipocrisia
Questi pochi dati sono già sufficienti per ipotizzare una relazione privilegiata tra la candidata democratica sconfitta e l’Arabia Saudita. Relazione che già sussisteva nel periodo in cui lei era segretario di Stato, suggellata dalle commesse d’armi e da una politica estera americana sempre più amichevole con Riad. Per completare il quadro, può essere utile leggere il messaggio che la Clinton spedì nel 2009 ai suoi collaboratori – pubblicato tra i documenti di Wikileaks – e che riguarda i «meriti» di Riad: «L’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al-Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba e altri gruppi terroristici, compreso Hamas». Non solo: «i donatori privati dell’Arabia Saudita costituiscono la più significative fonti di finanziamento per i gruppi del terrorismo sunnita nel mondo».

Relazioni privilegiate che però non le sono bastate
Non si può dire che la Clinton non fosse consapevole, dunque, del curriculum del suo maggior alleato e supporter. Che, di recente, è stato pure inchiodato da un report ufficiale Usa che ha evidenziato collegamenti tra le autorità di Riad e i terroristi dell’11 settembre. Ma ciò non ha impedito alla candidata democratica di coltivare, per così dire, con dovizia le relazioni bilaterali con il controverso alleato, né tantomeno di riceverne i finanziamenti. Eppure, questi "assi della manica" non l'hanno salvata dal ciclone Trump. Che dalla sua, pur non avendo illustri supporter e laute donazioni, ha avuto il popolo.