Le mire dell’Isis sull’Afghanistan
In Afghanistan stiamo assistendo a un inquietante aumento della violenza settaria: l'ultimo attacco (pare) di matrice Isis lo dimostra. In questo scenario, anche Daesh sta giocando la propria parte
KABUL - Il puzzle afghano sembra destinato a complicarsi ulteriormente, a quindici anni dall'avvio di quella operazione, paradossalmente nota come «Enduring Freedom», che, secondo gli ottimistici propositi di Washington, avrebbe dovuto sradicare il terrorismo. Ma che le cose non siano andate esattamente così lo dimostrano i continui rinvii di Barack Obama del momento - pomposamente annunciato come imminente in campagna elettorale - di ritirare le truppe Usa dal Paese (LEGGI ANCHE «Cosa è rimasto della promessa di Obama in Afghanistan: una guerra eterna e un pasticcio senza fine»), ma anche la sostanziale paralisi istituzionale che immobilizza il Paese, e il rocambolesco tentativo di negoziare con i talebani – che, ben lungi dall’essere spazzati via dall’intervento di Washington, controllano ancora una buona fetta di territorio – fallito sul nascere.
Aumento della violenza
E poi c’è la violenza, a ricordarci che nulla è andato come doveva. Proprio oggi è giunta la notizia che presunti miliziani dell’Isis hanno ucciso decine di civili in una remota provincia centrale afghana in ritorsione per la morte di uno dei loro comandanti. I miliziani islamisti avevano infatti sequestrato ieri alcune persone nei pressi di Feroz Koh mentre raccoglievano legna da ardere. Tra le vittime ci sarebbero anche dei bambini. Un attentato tutt'altro che isolato: perché quello che negli ultimi mesi sta accadendo è un preoccupante aumento della violenza settaria. Dove anche lo Stato islamico sta giocando la sua parte.
Gli ultimi attacchi
Si pensi a quanto accaduto solo pochi giorni fa, l’11 ottobre scorso: un attentato indirizzato alla popolazione sciita, peraltro caricato di una importante simbologia. L’attacco è infatti avvenuto proprio alla vigilia del giorno santo di Ashura, in cui la comunità sciita commemora la morte del «principe dei martiri» Hussein avvenuta nella piana di Kerbala per mano delle armate del califfo Yazid. Lo scorso 23 luglio, poi, un altro attacco ha causato la morte, a Kabul, di 80 afghani di etnia hazara (già tradizionalmente bersaglio di persecuzioni e violenze), ed è stato rivendicato da Daesh.
Afghanistan, un caso a parte
Segnali che, in un Paese considerato quasi immune – in controtendenza con i vicini mediorientali – dall’attecchire dell’Isis, quest’ultimo sta invece cercando di ritagliarsi uno spazio, anche tentano di portare tra le proprie fila alcuni comandanti Taliban. La «diversità» dell’Afghanistan nella regione ha radici storiche. Qui, il jihad è stato tradizionalmente rivolto contro le potenze occupanti, ed è stato appannaggio dei talebani, che vorrebbe detenere l’esclusività della lotta agli infedeli. Il loro radicamento sul territorio nonché la loro «specificità afghana» ha costituito un limite oggettivo all’espansione dell’Isis nel Paese. Il Califfato, al contrario, ha una vocazione più universale: il suo non essere portatrice di istanze nazionali la rende meno capace di far presa sul territorio.
Codici di comportamento diversi
Quando, invece, riesce a fare presa, è soprattutto per ragioni ben più concrete: come i benefici apportati ai neo-adepti in termini di risorse economiche. Ma un altro ostacolo all’espansione dell’Isis in Afghanistan è dato da una sostanziale diversità di codici di comportamento: Daesh disprezza palesemente il codice tribale pashtun, e la sua brutalità, che spesso non risparmia neppure rispettabili capi di comunità, si aliena il consenso di popolazione e combattente.
Cosa cerca di fare l'Isis in Afghanistan
L’attacco di oggi va dunque inquadrato in questo scenario: un tentativo di Daesh di mostrare la propria forza, proprio in un teatro in cui è sostanzialmente debole. Lo abbiamo visto in altri contesti: è proprio quando l’Isis retrocede sul terreno, che sferra i suoi attacchi più clamorosi. Il tentativo è duplice e tutto propagandistico: da un lato, ostentare la propria forza agli occhi di chi lo vede indebolito, dall’altro creare ammirazione, nella speranza che possa trasformarsi in consenso. E l’attuale «attenzione» che l’Isis riserva all’Afghanistan (e in particolare alla sua popolazione sciita) va proprio in questa direzione: l’obiettivo ultimo è quello di destabilizzare un Paese già nel caos per «assorbirlo» alla causa del Califfato universale. La strategia di Daesh è quella, dunque, di rintuzzare le scintille delle violenze settarie, in un Paese tutto sommato meno propenso, rispetto ai vicini, al conflitto meramente identitario. E se per ora il tentativo pare in gran parte fallimentare, non è detto che in futuro il seme non possa germogliare. Tanto più in un contesto già profondamente destabilizzato e viziato da una cronica instabilità come quello afghano.