Rifugiati, Gentiloni dà un 6- a Juncker: tanti altri passi da fare
Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni ha dichiarato che il piano Juncker può essere un buon punto di partenza, ma che tanti altri passi devono essere fatti per risolvere la crisi. Ecco quali
ROMA - Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, nel discorso di ieri sullo Stato dell'Unione europea, ha sancito un risultato importante nella costruzione di una risposta europea alla crisi dei migranti, ma è necessario fare «un altro pezzo di strada». E' questa la valutazione fornita oggi dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni di fronte alla Camera, all'indomani della presentazione di Juncker delle sue proposte sulla «relocation» di 120mila migranti dai paesi di arrivo (principalmente Grecia, Italia e Ungheria) ad altri paesi membri.
Italia dalla parte giusta
«Le parole di Juncker di ieri credo che siano benvenute», ha detto Gentiloni, ricordando che sono venute «dopo una stagione difficile, in cui in certi momenti immagini e parole ci hanno fatto provare addirittura vergogna per l'Europa». La visione di Europa, ha detto il capo della diplomazia italiana, è in crisi e questa crisi è percepita anche dai Paesi di vicinato che puntano ad aderire all'Ue. «La rincorsa tra egoismo e scaricabarile è stata per alcune settimane insopportabile», ha detto Gentiloni. «Noi Italia - ha continuato - siamo stati dalla parte giusta, abbiamo salvato oltre 100mila vite umane nel Mediterraneo. Non dimentichiamolo in questi giorni in cui finalmente si parla della parte buona dell'Europa, che interviene nelle crisi umanitarie. Rivendichiamo con orgoglio il ruolo che l'Italia e gli operatori umanitarie hanno svolto per l'Italia»,
Progressi
Ma l'Italia, in quelle settimane, era «sola». E ancora cinque mesi fa «parlare di agenda europea e di superamento di Dublino poteva apparire il sogno di qualche visionario». Oggi «queste cose sono nel linguaggio dei documenti dell'Ue. L'Italia è stata iniziatore del processo che ha portato a queste evoluzioni positive», ha rivendicato il capo della diplomazia italiana, sostenendo che il piano presentato ieri da Juncker «è un risultato importante, perché sancisce da un punto di vista culturale un impegno comune, perché avvia ricollocamento di 120mila rifugiati che si aggiungono ai 40mila e perché stabilisce che non è un meccanismo una tantum, ma che può essere riattivato in caso di crisi che sono nel panorama prevedibile della situazione».
Solo un primo passo
L'Italia, ha annunciato il ministro, «sostiene questo piano» e «farà del suo meglio per farlo approvare». Tuttavia è solo un primo passo. «Siamo soddisfatti della strada fatta, ma consapevoli della strada che resta da fare», ha precisato il ministro, ricordando che l'andamento demografico del mondo porta a una dinamica di migrazione ineluttabile. «E' un fenomeno che va governato e gestito. E va governato e gestito insieme», ha detto il ministro.
Cooperazione allo sviluppo
In questo senso, Gentiloni ha esposto una serie di passi da fare per mettere in pratica una risposta europea condivisa per affrontare il fenomeno migratorio. «Dobbiamo lavorare sulle cause profonde dei fenomeni migratori nei Paesi in cui vengono originate», ha sottolineato il titolare della Farnesina, evocando la differenziazione tra i cosiddetti profughi e i migranti economici: «Le moltitudini che fuggono da guerre e dittature e quelle che fuggono da miseria e povertà possono e devono essere trattate in modo diverso per le regole giuridiche europee, ma entrambe interpellano la responsabilità politica dell'Ue e dell'Italia. Sia i cosiddetti migranti economici, sia quelli potenziali titolari di diritto d'asilo». Questo vuol dire che va rilanciata la cooperazione allo sviluppo e l'intervento economico nelle aree di crisi. «Il nostro paese decide nella prossima legge di stabilità di recuperare almeno una parte dei fondi per la cooperazione e lo sviluppo», ha annunciato Gentiloni.
Lavorare sui Paesi di transito
Oltre all'intervento sui Paesi di provenienza, il ministro ha evidenziato l'importanza di lavorare sui Paesi di transito, pur senza illudersi «che si possa risolvere il problema dei 170-180mila immigrati che arriveranno sulle nostre coste entro la fine del 2015 dalla Libia, trattenendoli in un megagalattico campo profughi in Niger». Tuttavia, intervenendo sui Paesi di transito, a partire dal Niger, «si crea comunque un contributo utile e importante a meglio gestire e in parte anche a ridimensionare i fenomeni migratori». L'altro passo da fare è quello del contrasto agli scafisti. «Credo che sia realistico puntare all'obiettivo di dare il via alla seconda fase dell'operazione decisa dall'Ue, con l'obiettivo di identificare i barconi e distruggere i mezzi dei trafficanti nelle acque internazionali: la possibilità e alla nostra portata e credo possa essere raggiunta entro il mese di settembre».
Crisi libica e siriana
Per quanto riguarda invece i conflitti che stanno alimentando l'afflusso di profughi. «Dobbiamo lavorare su un piano politico-diplomatico per risolvere le principali crisi che incidono su fenomeno migratorio», ha detto Gentiloni, facendo particolare riferimento al conflitto libico e a quello siriano. Sul primo ha detto che l'accordo per un governo unitario delle fazioni, pur non essendo ancora certo, «è finalmente a portata di mano» e l'Italia è pronta ad assumere un ruolo di «leadership» se verrà firmato nella ricostruzione e stabilizzazione, anche «sul fronte della sicurezza». Per il secondo, Gentiloni ha auspicato che nessuno commetta gli «errori duramente pagati» in passato immaginando di poter risolvere la situazione con «spedizioni militari». Queste valutazioni vengono dopo che Francia e la Gran Bretagna hanno annunciato un loro maggiore imepegno militare e dopo che Washington e la Nato hanno denunciato un rafforzamento dell'apparato militare russo in Siria.
Superare Dublino
L'ultimo punto affrontato dal capo della diplomazia italiana è quello del Trattato di Dublino in tema di diritto d'asilo, le cui regole devono essere «gradualmente superate», a partire dal riconoscimento mutuo tra gli Stati membri dell'Ue del diritto d'asilo concesso da uno di essi. Anche perché, una «difesa della trincea di Dublino», potrebbe avere come vittima l'accordo di libera circolazione di Schengen e questo «rappresenterebbe una ferita nella costruzione dell'edificio europeo». (fonte askanews)
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