28 marzo 2024
Aggiornato 20:00
Sedici morti, nel colpo più duro inferto dai separatisti curdi

Turchia colpita duramente dal Pkk a Daglica

Ci sono volute 24 ore affinché lo Stato maggiore turco comunicasse il bilancio delle vittime dell'attacco lanciato domenica scorsa dal Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) contro un convoglio dell'esercito turco a Daglarca, nel sudest del Paese

ISTANBUL (askanews) - Ci sono volute 24 ore affinché lo Stato maggiore turco comunicasse il bilancio delle vittime dell'attacco lanciato domenica scorsa dal Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) contro un convoglio dell'esercito turco a Daglarca, nel sudest del Paese: 16 ufficiali morti, 6 feriti. La stampa locale, riferendosi a diverse fonti militari, aveva riportato la notizia della morte di almeno 15 soldati. Con la conferma ufficiale diventa certo che, quello di domenica scorsa, è l'attentato che ha causato il numero di vittime militari più alto registrato finora negli scontri tra il Pkk e lo Stato turco da luglio, quando dopo tre anni di tregua, le due parti hanno ripreso i combattimenti.

Fasi dell'attentato
Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dallo Stato maggiore, l'attentato del gruppo armato curdo si è svolto in due fasi: nella prima, una mina attivata a distanza ha fatto esplodere il convoglio di un team di sminatori che stava effettuando un sondaggio nella valle Doski. Poco dopo, un'altra mina, attivata sempre a distanza, ha fatto saltare in area una pattuglia venuta in soccorso. Gli scontri tra i militari e i militanti curdi iniziati in seguito alle esplosioni, sono stati seguiti dai bombardamenti di F4 ed F16 che hanno proseguito gli attacchi fino alla mezza notte, colpendo - secondo quanto comunicato dai vertici militari - 13 postazioni del Pkk. Mentre la notizia dell'attentato ha raggiunto Ankara due ore dopo l'accaduto, le cattive condizioni meteorologiche hanno reso difficile recuperare i feriti e i corpi delle vittime.

Scontri in atto da settimane
Tuttavia, secondo quanto comunicato dal giornalista Zeki Dara al portale informativo Bianet, nella regione di Daglica gli scontri tra il Pkk e i militari turchi starebbero andando avanti già da tre settimane. Il giornalista, affermando che il flusso di informazioni su quanto sta accadendo nella regione è molto confuso, ha citato alcune dichiarazioni dell'ex sindaco di Hakkari (capoluogo della zona dei combattimenti) secondo cui nella regione starebbero «accadendo cose che vanno oltre quelle che compaiono sui media». Lo scudo umano di 32 persone (tra cui si trovava anche la giornalista olandese Frederike Geerdink) fermato sabato scorso, ha ricordato il giornalista, avrebbe avuto lo scopo di bloccare proprio i combattimenti in corso nella regione. Nella stessa zona, in prossimità delle zone degli scontri sono inoltre presenti dei villaggi e si teme per l'incolumità dei loro abitanti.

Quanto durerà?
Mentre il numero dei morti continua ad aumentare a livello esponenziale, accanto alle famiglie dei militari uccisi che dicono di «sacrificare volentieri i figli per la patria» si sollevano sempre più anche le voci delle famiglie che criticano Erdogan e il governo, ritenendoli responsabili per la situazione in corso, ma il presidente si limita a definirli «padri dal carattere inaffidabile». Ed ha poi aggiunto: «se avessimo ottenuto 400 deputati alle scorse elezioni, tutto questo non starebbe accadendo». Quanto questa situazione potrà durare ancora è ciò che si chiedono diversi osservatori che vedono uno scenario sempre più fosco per il Paese. Mentre l'Euro e il dollaro toccano ogni giorno un record contro la lira che continua a crollare e mancano meno di due mesi alle elezioni anticipate del prossimo 1 novembre, la morsa della censura sui mezzi di stampa indipendenti si fa sempre più soffocante. Non mancano nemmeno veri e propri attacchi fisici come l'aggressione dei simpatizzanti del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) di ieri alla sede del quotidiano Hurriyet. Il tutto impedendo pericolosamente all'opinione pubblica di sapere quello che sta realmente accadendo, al di là dilagante retorica della salvezza della patria con il dovuto sacrificio.