19 aprile 2024
Aggiornato 07:30
Una lettera dall'ex Ambasciatore Ungherese in Italia

Un saluto ai giovani ministri degli affari esteri

Ecco le mie esperienze, raccolte nella diplomazia lungo un periodo storico che va da Mātyās Rākosi a Orbān Viktor. Mi dicono che non dobbiamo considerare la giovane etā (36 anni) del nostro nuovo ministro degli affari esteri Peter Szjjarto come un disastro, perchč potrebbe aiutare a stabilire un partenariato e nuove collaborazioni strategiche nell’Europa attuale.

ROMA - Le mie esperienze  raccolte nella diplomazia lungo un periodo storico che va da Màtyàs Ràkosi a Orbàn Viktor dicono che non dobbiamo considerare la giovane età (36 anni)  del nostro nuovo ministro degli affari esteri Peter Szjjarto come un disastro, perchè potrebbe aiutare a stabilire un partenariato e collaborazioni strategiche  nell’Europa attuale.

Per esempio potrebbe  facilmente trovare parole comuni  con altri ministri colleghi della sua generazione, prima di tutto la signora Federica Mogherini, Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell'Unione Europea, come anche con il signor Sebastian Kurz, ministro austriaco anche  nell’interesse di un cambiamento  paradigmatico che sembra sempre più necessario. Usando questa nozione utilizzata nel linguaggio scientifico penso a tutti gli elementi essenziali del sistema  dei rapporti internazionali attuali.

Nella storia europea un  cambiamento  paradigmatico che la Santa Alleanza introduceva nell’anno 1815 si estendeva sull’insieme dei rapporti  essenziali. Uno dei grandi creatori dell’ordine nuovo era Talleyrand, che entrava alla diplomazia francese all’età  di 35 anni. Cento anni dopo avevano solo 31-32 anni Eduàrd Benes e Tomàs Masaryk, i due cechi quando nel 1915 convincevano il pilota-generale di cittadinanza ungaro-francese ma di identità slovacca  Milan Stefanik di 35 anni a introdurre insieme negli ambienti decisionali delle potenze  centrali della prima guerra  mondiale il concetto della distruzione della  Monarchia Austro-Ungarica e la conseguente creazione di  uno stato Cecoslovacco composto da popoli che nella storia non avevano mai vissuto insieme, uno stato Jugoslavo composto da cattolici, ortodossi e musulmani, una Romania della quale neanche il nome esisteva nella storia europea  ridisegnando la carta geopolitica di quasi tutta Europa. Naturalmente dietro si nascondeva la  massoneria, espressione della forza finanziaria dell'epoca, il panslavismo, il sentimento nazionale dei cechi, l’avidità  coloniale francese ed anche altri fattori.

I cambiamenti paradigmatici del dopoguerra sono  rimasti in vigore fino ai nostri giorni, nel senso che da una parte continuava a reggere il principio vae victis, in altre parole nessuno ha chiesto ai popoli in quale stato desiderano vivere. D’altra parte si aggiungeva sul livello della politica interna in tutta Europa la forza primordiale  dei  partiti politici nati a cavallo dei due secoli con l’ambizione dell’occupazione dello stato.

Ma nel ventre della storia nascevano cambiamenti come l’abolizione del colonialismo o piuttosto il suo cambiamento in neocolonialismo, solamente in Africa con 50.000 chilometri di confine artificiale con conseguenze di guerre e genocidi, invasione dell’ Europa con profughi e rifugiati. Entrano in vita correzioni del paradigma, che lo indeboliscono ogni giorno. I piu importanti sono l’unificazione della Germania, la disgregazione del sistema mondiale del comunismo, con la nascita di stati nuovi, la separazione dei cechi e slovacchi, come anche  dei popoli nella penisola balcanica. Ci sono rivolte come  in Ungheria nel 1956. Ma dappertutto  rimangono ancora popoli, considerati come nazionalità minoritaria sotto l’oppressione di poteri  nazionalisti, dietro ai quali sempre si possono trovare  partiti politici con ambizioni oscure. Le minoranze inseguono ancora invano la democrazia tramite plebiscito, come  in Scozia o in Ucraina, ma prende forma nei pensieri di tutti l’unica uscita ragionevole: la ricerca del compromesso.

Emergono dal paradigma esistente  due nuovi principi: l’autodeterminazione dei popoli ( e non degli stati) e un parlamento veritabilmente popolare  che funziona con  la partecipazione dei grandi gruppi sociologici, delegati di occupazioni, categorie, professioni e occupa il posto dei parlamenti basati sulla omnipotenza dei partiti politici ( veramente gruppi sociologici con l’unico  scopo di dirigere la vita di tutti nel vivere bene) che sembrano sempre di più vetusti e ridicoli.

Quando i due principi  entrano nella vita pratica  possiamo parlare del nuovo paradigma. Lo scopo si delinea, ma la strada è lunga.

Le condizioni sono interessanti, perchè molte cose considerate per secoli  immutabili , come il ruolo del Papa , cambiano e si designa un nuovo  periodo storico. Potrebbe essere importante il ruolo di Federica Mogherini, proveniente  dall’organizzazione giovanile che si dichiara come continuatrice dell’eredità di Enrico Berlinguer, personalità storica che ha portato colpi di piccone importanti al paradigma con l’eurocomunismo e  al compromesso storico. Come il ruolo di Sebastian Kurz che può continuare l’enorme sapienza  di una diplomazia  secolare della monarchia, ed anche a noi ungheresi non mancano le esperienze.

Il giovane ministro ungherese in una delle prime  dichiarazioni diceva: «Gettiamo definitivamente le basi per il fondamento della nuova politica estera ungherese.» Non ho sentito ancora nulla sul contenuto ma forse abbiamo idee simili.

La diplomazia è l'arte delle possibilità.

Hic Rhodus, hic salta!

Dr. György Misur (ex Ambasciatore Ungherese in Italia)