10 dicembre 2024
Aggiornato 18:00
Afghanistan | Missione ISAF

Intersos: afgani diffidenti verso le truppe straniere

La ricerca realizzata dal freelance Giuliano Battiston. La maggior parte degli intervistati lamenta condizioni di sicurezza precarie e ritiene che il dispiegamento delle truppe internazionali non abbia prodotto i risultati sperati

KABUL - Disillusione, diffidenza e sospetto. Sono i sentimenti prevalenti verso le truppe straniere che emergono dalla ricerca «Le truppe straniere agli occhi degli afghani: percezioni, opinioni e rumors a Herat, Farah e Badghis», promossa dalla Ong Intersos e realizzata dal ricercatore e giornalista freelance Giuliano Battiston.
Le interviste raccolte nell'estate 2011 con interlocutori diversi - dai religiosi ai funzionari governativi, dai commercianti agli attivisti - segnalano un forte scollamento tra le dichiarazioni delle cancellerie occidentali, che sostengono che le forze Isaf-Nato siano riuscite in buona parte a stabilizzare il paese, e quelle degli afghani, che ritengono che la comunità internazionale abbia fallito nel garantire la sicurezza alla popolazione, pur manifestando apprensione sulle conseguenze del ritiro delle truppe.

Le truppe internazionali non hanno prodotto i risultati sperati - La maggior parte degli intervistati lamenta condizioni di sicurezza precarie e ritiene che il dispiegamento delle truppe internazionali non abbia prodotto i risultati sperati: «Nel 2004 - afferma tra gli altri M. Akram Azimi, docente all'Università Ghargistan, Farah - i Talebani erano circa 400. Nel 2009, 25.000. Oggi possono contare su 30.000 combattenti. La comunità internazionale dovrebbe cominciare a chiedersi perché i ribelli aumentano invece di diminuire». Tra le cause, due emergono in particolare: la pluralità di orientamenti, tattiche e obiettivi perseguiti dai singoli contingenti e lo scarso coinvolgimento delle controparti afghane nell'elaborazione della strategia di pacificazione e stabilizzazione: «Il fallimento della comunità internazionale dipende dal fatto che è mancata una strategia coerente tra gli attori coinvolti nel conflitto; inoltre, essa è stata elaborata altrove, da gente che non conosceva il paese», dichiara Soraya Pekzad dell'organizzazione Voice of Women, Herat.