Defezione di massa tra Ambasciatori contrari alla repressione
Molti di loro hanno dichiarato di voler sostenere i manifestanti. Scomparso il diplomatico in Bangladesh dopo le dimissioni
ROMA - La repressione delle proteste in corso in Libia ha portato alle dimissioni gli Ambasciatori libici di Stati Uniti, Nazioni Unite, Lega Araba, Australia, Indonesia, Malaysia, India, Cina e Bangladesh. Molti di loro hanno dichiarato di voler sostenere i manifestanti, chiedendo l'intervento della comunità internazionale contro quello che un diplomatico all'Onu ha definito un «genocidio».
L'Ambasciatore negli Usa, Ali Aujali, ha invitato il leader libico Muammar Gheddafi, a dimettersi, «per dare al popolo l'opportunità di forgiare il proprio futuro». Più dure le parole pronunciate dal vice-Ambasciatore libico presso le Nazioni Unite, Ibrahim Dabbashi: «Il tiranno Muammar Gaddafi ha ammesso pubblicamente, attraverso i suoi figli, quanto disprezzi la Libia e il popolo libico. Si tratta di fatto di una dichiarazione di guerra contro il popolo libico. Il regime di Gheddafi ha già iniziato il genocidio contro il popolo libico».
Il vice-Ambasciatore ha quindi invitato «gli ufficiali e i soldati dell'esercito libico, dovunque siano e a qualsiasi rango appartengano, ad organizzarsi e a muoversi verso Tripoli per tagliare la testa del serpente». Dabbashi ha poi chiesto alle Nazioni Unite di imporre una zona di interdizione di volo sulle città libiche per ostacolare l'arrivo di armi e mercenari.
In Bangladesh si sono invece perse le tracce dell'Ambasciatore A. H. Elimam, che ha presentato le dimissioni la scorsa notte. Stando a quanto appreso dalla tv araba al Jazeera, il diplomatico si sentiva minacciato da un agente dell'intelligence presente in Ambasciata, originario dello stesso villaggio di Gheddafi. Lo stesso Elimam aveva ammesso di temere per la sicurezza della sua famiglia, in Libia.
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