24 agosto 2025
Aggiornato 05:30
Bosnia

Un seggio di Sarajevo si trasforma in teatrino

Oggi 3 milioni di bosniaci al voto: i musulmani sognano un unico stato islamico

SARAJEVO - In pieno centro a Sarajevo, il seggio di via Ferhadija n.9 è in fermento: tra poco vi si recherà a votare Haris Silajdzic, l'attuale detentore del seggio musulmano della presidenza della Repubblica bosniaca, tripartita tra le etnie del paese, musulmana, serba e croata.
Nessuno immagina che sarà proprio lui a scrivere un nuovo atto del teatrino della politica bosniaca.
La giovane presidente del seggio è cordiale, ma autorevole nel disporre al meglio l'accoglienza del leader del Partito della Bosnia Erzegovina (Sbih), che corre per la riconferma del mandato quadriennale. I numerosi giornalisti - Al Jazeera è la sola tv straniera presente - vengono disposti nel lato della piccola stanza più favorevole a immortalare il voto, mentre gli elettori comuni formano una fila ordinata, pronti a cedere il turno al presidente.
«Sono fiera di esseri qui oggi a votare per il mio paese, che sogno un giorno unito in un unico stato». Nell'attesa, è Nadira - 28 anni, due grandi occhi nocciola che risaltano nel rosa acceso del velo che le avvolge il capo - a dichiarare la speranza dei bosniachi, i musulmani bosniaci, che si recano oggi alle urne: una sola Bosnia a maggioranza islamica.

Dopo gli accordi di pace di Dayton del 1995, la Bosnia resta divisa in due entità - la serba, Repubblica Srpska e la Federazione croato-musulmana - collegate da deboli istituzioni centrali che dovrebbero essere rafforzate in chiave dell'integrazione euroatlantica di Sarajevo. Ma difficilmente questo voto cambierà le cose.

Tutti i sondaggi danno per scontata la riconferma delle forze nazionaliste, la cui strenua difesa degli interssi incrociati dei propri 'mini stati', hanno impedito, a ormai quindici anni dalla fine del conflitto, la razionalizzazione dello schizofrenico impianto costituzionale bosniaco. Lo stesso che porta oggi poco più di 3 milioni di elettori a scegliere tra oltre 8000 candidati, 39 partiti e 11 coalizioni.
Basta guardare il seggio di via Ferhadja per realizzare che Sarajevo e la Bosnia sono destinate a rimanere etnicamente spartite: in fila vi sono solo musulmani, non c'è un croato, e tanto meno un serbo. I croati, in minoranza, sembrano destinati ad uscire da questo voto sempre più marginalizzati. Mentre i serbi, arroccati nei loro territori, dovrebbero fare quadrato intorno all'Alleanza dei social democratici indipendenti (Snsd), dell'attuale premier Milorad Dodik, strenuo difensore dell' autonomia dell'entità rispetto allo stato centrale, fino a sostenerne la secessione da Sarajevo.

E a confermare la leggerezza con cui la leadership bosniaca affronta un'elezione così delicata, ci pensa proprio il presidente Silajdzic. Con la moglie si mette in testa alla fila e le chiede 'la penna buona' per votare. Aspetta il suo turno, offrendosi generosamente al click dei fotografi. Si meraviglia più del divieto di fumare affisso sul muro del seggio, che di quello di introdurre armi.
E quando il momento di esibire un documento, realizza 'improvvisamente'- ma la sua performance di attore è poco convincente - di non esserne in possesso. «Mi dispiace presidente, così non può votare», non può che congedarlo la giovane responsabile di seggio.