31 luglio 2025
Aggiornato 13:30
Il futuro del G2

Gli Stati Uniti vogliono frenare l’ascesa irresistibile della Cina

La crisi nelle relazioni alla luce del debito Usa e del primato economico di Pechino

C’è qualcosa che sta cambiando nei rapporti fra Cina e Stati Uniti. Ormai i segnali di questo mutamento si susseguono a ritmo giornaliero e sono troppo evidenti per essere giudicati come un prodotto delle circostanze.
C’è evidentemente un cambio di strategia e il cambio di passo è interamente di marca statunitense.
Cominciamo con il ricordare i fatti.

La prima forte distonia si è registrata nelle parole di severo rimprovero con le quali il segretario di stato Hilary Clinton è intervenuta in soccorso di Google alle prese con le incursioni degli hackers cinesi.
Alle parole dure della Clinton ha fatto seguito la sfida di Pechino che ha messo in rete un motore di ricerca dalle caratteristiche molto simili a quelle di Google.
Dopo pochi giorni, le scaramucce cibernetiche sono state sostituite da un episodio che ha trasferito dal virtuale al reale la politica degli sgarbi: gli Stati Uniti hanno consegnato a Taiwan un arsenale completo di armi di ultima generazione.
Infine la casa Bianca, dopo avere toccato uno dei nervi scoperti del governi cinese, ne ha stuzzicato un altro anche più sensibile: ha annunciato che Obama riceverà il Dalai Lama.
La reazione cinese non si è fatta attendere e fa parte degli avvenimenti delle ultime ore: da Pechino hanno replicato che se si verificasse questo evento le relazioni diplomatiche con gli Usa ne sarebbero gravemente danneggiate.

Ora c’è da chiedersi come mai gli Stati Uniti, dopo il duetto messo in scena ad ottobre fra Obama e Hu-Jjntao, così idilliaco da essere definito il G2 in grado di reggere le sorti del mondo, abbiano invece scelto la via che porta dritta dritta ad una nuova guerra fredda.
Che siano stati gli Usa a voler dare una spallata alla piega che stava prendendo il G2 lo si può affermare con certezza.
Basta ripercorrere le basi sulle quali finora si basava il dialogo fra i due Paesi: da una parte la Cina poteva tranquillamente continuare a calpestare molti dei diritti civili e umani; dall’altra gli americani accettavano di chiudere un occhio in cambio dei buoni rapporti politici in merito a vitali questioni internazionali (vedi Nord Corea e Iran)) e delle prospettive economiche messe in campo dai cinesi.
Non si può negare che questo patto a due abbia dato anche buoni risultati.
Nel momento peggiore della crisi i quattrini dei fondi sovrani cinesi hanno aiutato Obama a rimettere in piedi la baracca.
La General Motors, che gli americani, bloccando il passaggio della Opel, hanno sottratto all’influenza dei tedeschi (o degli italiani), sta rimettendo i suoi conti in sesto grazie alle vendite in Cina.
Quindi c’ è una ragione in più per ritenere abbastanza curioso il cambio di marcia della Casa Bianca, reso anche più evidente dal rifiuto di Obama, lo scorso ottobre , di incontrare il Dalai Lama alla vigilia del suo viaggio in Cina.
Un voltafaccia curioso, ma non incomprensibile se si tiene conto di questa previsione diffusa in questi giorni dall’ Ocse: la Cina, che ha già portato l’economia fuori dalla recessione ed è tornata a crescere al ritmo del 10 per cento l’anno, nei prossimi cinque-sette anni potrebbe diventare la prima potenza del mondo superando gli Stati Uniti.

Con quali effetti, anche politici, lo si può desumere da una cifra che mette paura: il debito americano nei confronti di Pechino è salito a quasi mille miliardi di dollari, dei quali 800 miliardi solo in Buoni del Tesoro. Inoltre ai ritmi attuali l’esposizione degli Usa potrebbe crescere del 50 per cento nel giro di due-tre anni.
Finora questo debito veniva messo in evidenza per dimostrare l’interdipendenza fra i due Paesi.
Forse qualcuno alla Casa Bianca ha cominciato a capire che «l’interdipendenza» entro poco tempo potrebbe trasformarsi in «dipendenza» e sta cercando di correre ai ripari mettendo un freno all’apertura a tutti i costi con la Cina.

Se così fosse gli Usa avrebbero più di una ragione per giustificare il cambio di rotta. Da quando Bill Clinton aprì alla Cina il World Trade Ornanization (Two), Pechino, con la mano destra vestita da grande potenza, non ha fatto che rosicchiare quote di mercato ai concorrenti; mentre con la mano sinistra camuffata da paese povero ha continuato ad invadere i paesi più ricchi con immigrati e merci a basso costo.

Quando la Cina sarà diventata la prima potenza economica e di fatto, attraverso i debiti, anche padrona della seconda potenza, chi governerà il mondo?
Alla casa Bianca è molto probabile che abbiano cominciato a chiederselo.