28 agosto 2025
Aggiornato 10:00

Hillary Clinton in Messico, per Obama guai nel «cortile di casa»

Iniziata ieri la visita del segretario di Stato Usa

WASHINGTON - «Il Messico non è una minaccia»: Hillary Rodham Clinton lo proclama, rassicurante, in una intervista al quotidiano messicano La Reforma, nel giorno del suo arrivo in visita nel grande vicino meridionale. Clinton sarà nella capitale Città del Messico e poi a Monterrey. Al centro della visita di Clinton, scrive il quotidiano El Universal, ci sono «sicurezza e immigrazione». Cioè in primo luogo la sanguinosa guerra al narcotraffico che sta squassando lo Stato di Chihuahua, alla frontiera. La seconda questione riguarda il flusso dei clandestini che viaggiano ogni anno verso Texas e California.

Sulla lunga frontiera è stato in certi tratti costruito dall'amministrazione Bush anche un 'muro', una palizzata sorvegliata; con la crisi economica, la paura di perdere i posti di lavoro e consegnarli alla manodopera straniera acuisce la diffidenza. Ci sono 12 milioni di clandestini negli Usa, moltissimi ispanici, di cui molti familiari di persone ormai residenti o cittadini americani che è molto difficile rimandare indietro. L'elettorato ispanico negli Stati Uniti è in buona parte legato a filo doppio alla patria Messico. E Obama ha raccolto nelle urne quasi il 70% del voto degli ispanici, un serbatoio che non intende deludere.

Il viaggio di Clinton si presenta così come la prima tappa di un'offensiva diplomatica sostanziosa per risolvere una serie di problemi spinosi. All'inizio di aprile sono previsti incontri con le autorità messicane del ministro per la Sicurezza nazionale Janet Napolitano e del ministro della Giustizia Eric Holder, e lo stesso presidente Barack Obama sarà in Messico prima del Summit delle Americhe a Trinidad and Tobago. In effetti, i rapporti fra i due paesi sono tesi per un ventaglio di motivi.

La crisi economica colpisce l'economia messicana e viene da nord: l'export messicano ha perso 65.000 posti di lavoro da ottobre e il 32% in gennaio; l'export del settore automobilistico (pezzi di ricambio) il 50% fra gennaio e febbraio. Ma il nucleo dei guai sta nella drammatica guerra di frontiera contro i narcotrafficanti. Ci sono 10.800 uomini fra poliziotti e soldati impegnati a pattugliare la sola Ciudad Juarez, 1,3 milioni di abitanti, situata proprio di fronte a El Paso, in Texas. L'operazione anti narcos è sensibilmente aumentata di volume dal 2006, con l'arrivo al potere del presidente Felipe Calderon; in tutto sono dispiegati oltre 45mila uomini. Assieme è aumentata anche la violenza legata alla guerra della droga: dal dicembre del 2006, il numero di morti violente in Messico ha superato le 10.500. 6.000 persone sono morte nel 2008, di cui 1.600 solo a Ciudad Juarez, epicentro di massacri particolarmente sanguinari. Moltissimi sono morti in modo atroce; è comune il ritrovamento di cadaveri torturati e teste mozzate. Secondo gli esperti, Ciudad Juarez è un campo di battaglia per i cartelli di Sinaloa e di Juarez, che si scontrano per il controllo del traffico di droga verso gli Stati Uniti. I dati dicono infatti che il grosso della droga che circola per il Messico, in provenienza dalla Colombia o dall'Asia, è diretta a rifornire i tossicodipendenti statunitensi. E che il 90% delle armi usate dai cartelli messicani viene dagli Usa.