18 aprile 2024
Aggiornato 14:00
Il caso dell'anno

Scandalo Volkswagen, tutti i retroscena e le conseguenze

Dai primi test su strada che hanno rilevato l'anomalia alle inchieste fino all'ammissione shock: «È vero, abbiamo barato truccando il software delle centraline». E in borsa il titolo crolla

MILANO- Solo pochi mesi dopo aver raggiunto lo storico traguardo di leader mondiale nelle vendite, scavalcando un altro colosso come Toyota, la Volkswagen ora deve fare i conti con uno degli scandali più gravi che la storia dell'automobile abbia mai raccontato. L'accusa, che porta la firma dell'Environmental Protection Agency dell'amministrazione Obama, è quella di aver «barato», e quindi infranto la legge, sulle emissioni dei motori diesel negli Usa. Ma andiamo con ordine.

LA PRIMA DENUNCIA - Ad accorgersi per primo con un test su strada che i dati ufficiali sulle emissioni nocive riportati dalla Casa non corrispondevano a verità è stato Peter Mock, responsabile europeo dell'Icct (International Council for Clean Transportation). Il suo primo dossier, datato ottobre 2014, riportava che «le analisi suggeriscono l'applicazione di strategie di controllo degli NOx che sono ottimizzate per le attuali procedure d'omologazione, ma non sono sufficienti a garantire risultati adeguati su strada».

IL TEST DECISIVO - Rilevata la sorprendente discrepanza tra banco e test su strada, Mock ha coivolto il responsabile Usa dell'Icct, che ironia del destino di chiama John German, per effettuare un ulteriore test su strada negli Stati Uniti. Tre le vetture usate da San Diego a Seattle (1.300 miglia): una Volkswagen Passat, una Volkswagen Jetta e una BMW X5. La prima ha prodotto NOx per un livello 5-20 volte superiore al consentito, la seconda tra le 15 e le 35, mentre la BMW è stata promossa a pieni voti. L'apparecchiatura usata è stata il Pems (Portable Emission Measurement System), che viene alloggiata nel bagagliaio delle automobili per misurare così i consumi direttamente su strada, e non nelle condizioni artificiali del banco a rulli, e che dal 2017 verrà usata per le omologazioni Ue. 

L'INCHIESTA - Ormai non ci sono più dubbi, i conti non tornano. La Volkswagen è costretta ad ammettere «velatamente», almeno all'inizio, che si tratta di un baco e richiama 500 mila vetture. Il Carb (California Air Resources Board) apre però un'indagine. Il risultato è che anche questi richiami non sono valsi a nulla, emettendo così lo scorso 8 luglio un'informativa indirizzata all'Epa (Environmental Protection Agency) e alla stessa Casa tedesca.  

L'AMMISSIONE: «ABBIAMO BARATO» - Spalle al muro, al colosso tedesco non rimane che ammettere di aver barato, e di averlo fatto tramite un software sulle centraline dei motori 4 cilindri diesel delle sue vetture Volkswagen e Audi (modelli dal 2009 al 2015), un sistema in grado di rilevare da solo quando la vettura è in fase di «esame» e modificare il funzionamento del motore per abbattere drasticamente le emissioni.

IL CROLLO DEL TITOLO IN BORSA - Mentre da più parti si chiede a gran voce la testa dell'Ad Martin Winterkon, il titolo del gruppo tedesco ha chiuso lunedì la seduta di Borsa a Francoforte in calo di quasi il 19% (un crollo record) a 132,20 euro, bruciando oltre 15 miliardi di euro di capitalizzazione. Ed è solo l'inizio.