Eurostat: «L'Italia è al quinto posto per il tasso di disoccupazione più alto»
Secondo le tabelle di giugno elaborate da Eurostat, in Italia invece il tasso di disoccupazione è di due decimali di punto più elevati rispetto a maggio
ROMA (askanews) - Con un tasso di disoccupazione aumentato al 12,7 per cento a giugno, in controtendenza rispetto alla generale stabilità, l'Italia si piazza ad uno sgradevole quinto posto tra i Paesi dell'Unione europea con i valori più gravi. Fa persino peggio del Portogallo, che ha beneficiato di un piano di aiuti di Ue e Fmi - come Grecia, Irlanda, Cipro e, limitatamente alle banche, la Spagna - e in cui la disoccupazione si attesta al 12,4 per cento, stabile dal mese precedente come per l'area euro dove in media si è attestata all'11,1 per cento.
Eurostat: In Italia sale la disoccupazione
Secondo le tabelle di giugno elaborate da Eurostat, in Italia invece il tasso di disoccupazione è di due decimali di punto più elevati rispetto a maggio. Valori più alti si registrano solo su Croazia (15,3%), Cipro (16,2%), Spagna (22,5%) e Grecia, diventata da mesi la maglia nera di tutta l'Ue con una disoccupazione al 25,6 per cento (dato che risale ad aprile): in pratica oltre 1 attivo su 4. Guardando poi alla disoccupazione giovanile (che viene fissata da Eurostat come quella riguardante gli attivi under 25 anni), la situazione italiana è ancora più sconfortante.
Per gli under 25 il tasso di disoccupazione è del 44,2%
In questo caso il tasso nella Penisola raggiunge il 44,2 per cento, in aumento dal 42,4 per cento di maggio, che è praticamente il doppio della media dell'area euro, pari al 22,5 per cento. E si tratta del quarto peggior posto in assoluto, dopo Croazia (43,1%), Spagna (49,2%) e Grecia (53,2%, sempre su aprile). Eurostat quantifica in 3 milioni 233 mila i disoccupati in Italia, 55 mila in più dal mese precedente. I disoccupati under 25 risultavano invece 682 mila a giugno, 33 mila in più. Va comunque precisato che gli aumenti di disoccupati e il relativo tasso non sono negativi a priori, perché in certi casi possono semplicemente riflettere un ritorno sul mercato di persone precedentemente scoraggiate e che a livello statistico venivano inquadrate tra gli «inattivi», senza lavoro quindi ma non «disoccupati».
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