19 aprile 2024
Aggiornato 11:30
Estrazione petrolifera offshore

Legambiente: «Il progetto Ombrina Mare non ha senso»

Secondo l'associazione gli studi parlano di un greggio di pessima qualità, presente in quantità trascurabile, sufficiente a coprire a fatica lo 0,2% del consumo annuale nazionale e di una quantità di gas sufficiente a coprire appena lo 0,001% del consumo annuale nazionale, con royalties equivalenti all’importo di mezza tazzina di caffè all’anno per ogni abuzzese

CHIETI – «Il progetto Ombrina Mare non ha senso: gli studi presentati parlano di un greggio di pessima qualità, presente in quantità trascurabile, sufficiente a coprire a fatica lo 0,2% del consumo annuale nazionale e di una quantità di gas sufficiente a coprire appena lo 0,001% del consumo annuale nazionale, con una ricaduta locale (in termini di royalties) equivalente all’importo di mezza tazzina di caffè all’anno per ogni abruzzese». Legambiente ha riassunto tutte le criticità che presenta il progetto Ombrina Mare, presentato dalla Rockhopper (già Medoilgas Italia).

LA FRAGILITÀ DELL'ADRIATICO - L'associazione ha ricordato che decine di piattaforme sono già attive per l’estrazione di gas e petrolio nel mare Adriatico, Ionio e nel Canale di Sicilia. Sul versante italiano dell’Adriatico, le piattaforme operative per l’estrazione di greggio sono 6 alle quali bisogna aggiungere altre 39 concessioni per l’estrazione di gas, da cui si estrae il 70 per cento del metano prodotto in Italia. Legambiente ha sottolineato che l’Adriatico, per le sue caratteristiche di «mare chiuso», è un ecosistema molto importante e un ambiente estremamente fragile già messo a dura prova, ciononostante le aree interessate da attività di ricerca petrolifera in questa fetta di mare coprono quasi 12.000 kmq.

SOTTO MARE ITALIANO UNA GOCCIA DI PETROLIO - Complessivamente, le richieste presentate per le attività di ricerca e prospezione di idrocarburi nei fondali italiani sono 72 e interessano un’area marina pari a circa 32mila kmq nel caso della ricerca e 92mila kmq nel caso della prospezione. Le quantità di idrocarburi in gioco, però, inciderebbero ben poco sull’economia e sull’indipendenza energetica dello Stato. Tutto il greggio presente sotto il mare italiano, stimato in circa 10 milioni di tonnellate, sarebbe infatti sufficiente, stando ai consumi attuali, al fabbisogno energetico di sole 8 settimane. La maggior parte del guadagno andrebbe a compagnie private. Gli eventuali e possibili danni ricadrebbero sulla collettività.

LE NUOVE REGOLE UE - Ed è dei giorni scorsi il via libera del Consiglio dei ministri al recepimento della direttiva 2013/30/UE sul rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Che parla chiaro: serve un’accurata relazione sui grandi rischi e sugli incidenti che potrebbero verificarsi, la verifica delle garanzie economiche da parte della società richiedente per coprire i costi di un eventuale incidente durante le attività, l’applicazione di tutte le misure necessarie per individuare i responsabili del risarcimento in caso di gravi conseguenze ambientali fin dal rilascio dell’autorizzazione.

LE MANCANZE DEL GOVERNO - «Passaggi che a quanto pare non sono stati considerati dal governo nell’iter autorizzativo di Ombrina Mare» ha commentato Giuseppe Di Marco, presidente di Legambiente Abruzzo, nel sottolineare come un ultimo punto importante della direttiva sull’offshore riguardi la partecipazione del pubblico e come nel processo di autorizzazione vada tenuto conto del parere dei cittadini, amministrazioni e enti dei territori interessati dalle richieste. «Mancano inoltre all’appello – ha aggiunto - valutazioni sugli effetti che l’attività avrà sul mare e sulle aree protette già oggi presenti sulla costa, tra cui aree SIC che richiedono una valutazione di incidenza ambientale».