28 agosto 2025
Aggiornato 09:00
Rapporto Privatization Barometer

Firstonline: Nel 2010 privatizzazioni per 160 miliardi

Privatizzare riduce la discrezionalità dello Stato sull'economia. L'Italia, come purtroppo spesso accade, è un caso a sé stante

ROMA - Sono ripartite con vigore le privatizzazioni nel mondo: nel 2010 la vendita di attività pubbliche ha complessivamente fruttato 160 miliardi di dollari, un quasi record, secondo Kpmg e la Fondazione Eni Enrico Mattei, che hanno curato l'ultimo rapporto Privatization Barometer. Un valore più elevato si era registrato solo nel 2009, ma tenuto presente che i 184 miliardi di quell'anno erano «drogato dal riacquisto delle azioni da parte delle banche americane, che da solo valeva 118 miliardi di euro», avverte lo studio, secondo quanto riporta il giornale Firstonline. E se lo scorso anno il grosso di queste operazioni ha riguardato i grandi paesi emergenti, «nei prossimi anni toccherà all'Europa», affermano gli autori, Bernardo Bortolotti, docente di economia presso l' Università di Torino e fondatore del Privatization Barometer, e Alessandro Carpinella, direttore corporate finance di Kpmg.

Quanto all'Italia, «come purtroppo spesso accade è un caso a sé stante»: nel 2010 «solo due vendite Enel Green Power e Trieste Terminal» e «l'esito del cosiddetto referendum sulla privatizzazione dell'acqua rende più difficile la riapertura del dossier paradossalmente proprio nel momento del bisogno. L'Italia non è a rischio di default, ma come ci ricorda il recente rapporto di Barclays, la sostenibilità del nostro debito nel medio-lungo termine non può darsi per scontata in assenza di interventi strutturali. E se servono misure straordinarie - si legge - un piano di privatizzazioni dovrebbe essere in cima alla lista».

Gli asset da vendere non mancano: tra partecipazioni, immobili, concessioni, crediti, servizi da mettere in outsourcing e molti altri cespiti, Italia SpA valeva nel 2004 1340 miliardi di euro, tralasciando le oltre 7000 aziende della galassia del capitalismo municipale. «Privatizzare quindi si può. E' necessario però affrontare il tema senza populismi e ideologie, partendo dalle esperienze accumulate ma aggiornando modelli e procedure al nuovo contesto per realizzare nell'interesse generale un nuovo e più sano equilibrio fra stato e mercato».

In generale Bortolotti e Carpinella, il cui studio ha trovato spazio anche sulle pagine del Financial Times, rilevano come i governi dei paesi emergenti abbiano approfittano delle buone condizioni di mercato e della forte crescita delle loro economie per valorizzare attraverso le privatizzazioni le loro imprese pubbliche, laddove i governi occidentali le hanno rilanciate mentre si trovano con i conti sotto pressione. Un piano coerente di privatizzazioni genera «anche un altro dividendo: riduce progressivamente l'ambito di discrezionalità della politica sulle imprese - dicono gli autori - aumenta la credibilità della politica economica e quindi da ultimo migliora il rating di mercato dello stato sovrano, con ricadute positive sugli spreads. Non a caso i leader europei hanno preteso dal governo greco un ambizioso piano di privatizzazioni per dare via libera alla nuova tranche di aiuti».