18 aprile 2024
Aggiornato 20:30
«Non ci fu nessuna truffa»

Dolce e Gabbana, per il Giudice: tutto alla luce del sole

«La contestata natura artificiosa delle condotte poste in essere a vario titolo dagli imputati non è affatto scontata, né evidente»

MILANO - Nessuna truffa, nessun reato. Il gup di Milano Simone Luerti spiega i motivi per cui il 1 aprile scorso ha prosciolto gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana dalla doppia accusa di truffa ai danni dello Stato e dichiarazione infedele dei redditi per circa un miliardo di euro. «La contestata natura artificiosa delle condotte poste in essere a vario titolo dagli imputati non è affatto scontata, né evidente» sottolinea il gup, secondo cui «l'intera operazione, come tale, si è realizzata alla luce del sole, dagli incarichi ai professionisti agli atti costitutivi delle società, fino alle loro denominazioni».

«IL FATTO NON SUSSISTE» - Quattro anni di indagini avevano convinto la procura a chiedere il rinvio a giudizio dei due stilisti e con loro altri cinque imputati, tra cui il fratello di Domenico Dolce, Alfonso. Secondo il sospetto ricostruito dall'accusa, a vario titolo, avrebbero creato una società in Lussemburgo. Il fine sarebbe stato di non pagare le tasse in Italia sullo sfruttamento dei loro marchi D&G. Un'ipotesi accusatoria, caduta però di fronte al gup. «Le condotte contestate integrano palesemente una delle molteplici forme che assume l'elusione fiscale, il cui rilievo penale tributario è tutto da verificare». Segue il proscioglimento con la formula piena, perché «il fatto non sussiste».
La questione è chiusa, secondo il gup, per cui «stringenti argomentazioni in diritto» rendono «affatto superflua la valutazione dibattimentale, non residuando soluzioni aperte da verificare nel contradditorio».