28 agosto 2025
Aggiornato 09:30
Cina

Suicidi, la Foxconn chiede «giuramento» ai dipendenti

Per scongiurarli anche psicologi, monaci e sacchi da boxe

PECHINO - Il suicidio è proibito. E non solo dalle religioni. Perché a giurare di non commettere il peccato devono essere anche i dipendenti della Foxconn, la più grande azienda al mondo produttrice di componenti per computer. Conosciuta non solo perché nei suoi stabilimenti si producono i gioielli di Apple, Dell e Hewlett-Packard, ma anche per i tanti suicidi che si susseguono ormai dall'inizio dell'anno nella fabbrica di Shenzhen, nel sud della Cina.

«Prometto di non fare del male a me stesso o agli altri in maniera irreparabile» è la formula usata dall'azienda taiwanese per chiedere ai suoi dipendenti l'impegno a non suicidarsi. Perché 9 lavoratori (l'ultimo ieri) tra i 18 e i 24 anni, dall'inizio dell'anno, si sono tolti la vita in quello stabilimento.

Oggi l'azienda ha aperto le porte della sua città-fabbrica (dove lavorano e vivono 300.000 persone) ai mass media: i vertici del colosso informatico hanno chiesto scusa per i suicidi, negando che le morti siano legate alle condizioni di vita e di lavoro dei suoi dipendenti. Orari di lavoro stremanti, brevi pause per mangiare, riposo nei dormitori, rigidi controlli: stando alle testimonianze dei lavoratori, raccolte da vari quotidiani cinesi e stranieri, più che una fabbrica sembrerebbe una prigione.

Psicologi per aiutare i lavoratori, monaci per allontanare gli spiriti maligni; una linea telefonica di aiuto, una ricompensa per i delatori (30 dollari a chi 'denuncia' un collega, che si sospetta essere pronto al suicidio); una stanza con sacchi da pugilato raffiguranti i capi, per permettere ai lavoratori di sfogarsi, e musica diffusa nelle aree di lavoro. Tutto questo per migliorare la vita dei dipendenti. E impedire, con l'ausilio anche di una bella rete all'esterno dei piani più alti del dormitorio, i suicidi.

L'azienda ha inoltre chiesto ai dipendenti di firmare una lettera per acconsentire di esser mandati in istituzioni psichiatriche se appaiono in «uno stato mentale o fisico anormale»: una scelta, si legge nella lettera, «per il mio bene e quello degli altri». Un dipendente, intervistato dai giornali, si è domandato: «Ma se litigo con il mio capo, mi manderanno in manicomio?».