Euro sotto attacco: ritornano le scelte impopolari
La Grecia per non fallire sceglie l’austerità. Ma la gente si ribella
Fra non molto è molto probabile che saremo costretti a riscoprire il valore della parola «impopolare».
Impopolare, equivale alla medicina amara che il medico ti fa ingurgitare per curarti di una malattia.
Impopolare, equivale alla decisione di un capofamiglia che decide di impedire ai propri figli di andarsene a spasso il giorno prima degli esami.
Impopolare, per i fumatori, è il divieto di accendersi la sigaretta in un luogo pubblico.
Per tutti, impopolari sono le tasse (senza le quali non avremmo le fogne , l’assistenza medica e molto altro) e quei provvedimenti che impediscono ad un popolo di vivere al di sopra delle proprie possibilità. Che in estrema sintesi vuol dire, spendere più di quanto si guadagna.
Ecco, da quando la globalizzazione è stato il minimo comun denominatore adottato in tutte le latitudini, i governi, senza eccezione alcuna, si sono autoimposti una dottrina da rispettare qualunque cosa accadesse, o stesse per accadere: questo imperativo categorico è stato ed è: evitare a tutti i costi di prendere misure impopolari.
L’ unica eccezione, prima di queste ultime ore, porta la firma di Barack Obama che, per garantire un letto di ospedale a 40 milioni di americani fuori da ogni assistenza medica, ha visto precipitare la sua popolarità alla stessa velocità con cui era salita in vetta.
Ma anche per gli Starti Uniti, come per il resto del mondo, per lunghissimi anni la parola d’ordine globalizzata è stata: «companeros adelante tanto qualcuno pagherà».
Tutto fa credere che la festa sia finita.
Il povero Duim Duisenberg, presidente della Bundesbank prima dell’avvento della moneta unica, in questi giorni si rivolterà nella tomba.
A suo tempo si batté come un disperato per impedire che nel pacchetto di mischia dell’Euro entrassero i Pigs.
Pigs è l’acronimo che gli amici di Duisenberg coniarono per i quattro paesi, Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. L’equivalente inglese di «maiali», nelle intenzioni di chi lo coniò, ben si attagliava alle caratteristiche dei conti pubblici delle quattro economie che stavano per contrarre matrimonio con il marco.
Le vicende di questi giorni sembrano frutto di un a nemesi, anche se tutti ci auguriamo che la Banca centrale europea abbia in se gli anticorpi per sconfiggere il primo, ma micidiale attacco alla sua stabilità.
Intanto, però, bisogna sottolineare che la storia, anche quella economica si prende come sempre le sue libertà rispetto alle previsioni. La più eclatante, rispetto ai comportamenti dei paesi del «Club Med» è che una delle pecore nere additate ai tempi da Duisenberg, a dispetto delle profezie dei vecchi sacerdoti del marco, ha potuto togliere la propria «i» dall’acronimo «Pigs» per essere sostituita dall’Irlanda, la cui economia, al tempo del dibattito sull’Euro, veniva invece portata ad esempio da seguire.
Quella «i» che non fa più parte dei «Pigs» è l’Italia.
Questo vuol dire che i conti pubblici dell’Italia sono finalmente diventati immacolati?
Sarebbe molto rischioso illudersi. Abbiamo ancora uno dei debiti più alti del pianeta. Ma siamo in grado di pagarne gli interessi e soprattutto non abbiamo necessità di contrarne altri per sopravvivere, come invece sono costretti a fare Portogallo, Grecia e forse anche la Spagna.
Alla luce di quanto sta accadendo sui conti pubblici di Paesi a noi vicini oggi siamo anche in grado di dare una interpretazione più corretta al freno imposto da Tremonti al Presidente del Consiglio in merito ad una riduzione in tempi brevi delle tasse.
E’ vero infatti che i nostri conti, anche se chiusi in un involucro di instabilità, sono riusciti a trovare un equilibrio (aiutati anche dai bassi tassi di interesse), ma non bisogna dimenticare che il nostro debito, anche se non in affanno, è tornato a salire e a sfiorare quote da primi anni novanta.
Insomma, dopo gli anni della dissipazione, siamo stati più virtuosi di altri. Non ci siamo rimpizzati di derivati, non abbiamo ecceduto con i mutui e con la finanza facile.
Portogallo, Grecia e Spagna sono però la dimostrazione che la crisi è tutt’altro che risolta, che i danni provocati da chi ha governato l’economia mondiale dalla caduta del muro di Berlino in poi, tenendo conto solo della popolarità delle decisioni, è profondo e non passeggero.
La Grecia, per non fare la fine dell’Argentina, è stata costretta ad aprire la stagione dei provvedimenti impopolari. Quali saranno le conseguenze di questa svolta, quando le popolazione coinvolte dovranno subire gli effetti della stretta di cinghia è difficile dirlo.
Una cosa è certa. L’unica cosa che bisogna evitare è fare finta che tutto fili liscio. La macchina, quella nazionale, quella europea, quella globale, per non ingripparsi del tutto, ha bisogno di una revisione. E al più presto.
- 31/08/2018 L'Argentina piange (ancora): peso a picco e tassi su del 60%. La ricetta neoliberista di Macri non funziona
- 17/05/2018 Cosa dicono quelli che dicono che non possiamo uscire dall’euro né cancellare il debito
- 16/05/2018 Cancellare una parte del debito: una proposta sacrosanta, che scatenerà l'ira dei mercati
- 10/05/2018 Argentina come la Grecia: dopo la speculazione, la troika del Fondo Monetario. Breve storia di un paese senza futuro