26 aprile 2024
Aggiornato 04:30
Primi in Europa per Dop e Igp

Ue: si rafforza la leadership dell’agricoltura italiana

Un fatturato da 10 miliardi di euro. Ma incombe sempre più minacciosa l’agropirateria

ROMA - Si rafforza la leadership dell’agricoltura italiana in Europa in fatto di qualità e tipicità. Con i recenti riconoscimenti ottenuti dall’Unione europea (ultimi in ordine di tempo quelli della Pesca di Verona e del Pistacchio Verde di Bronte) si allunga il già consistente elenco di Dop-Denominazione di origine protetta (123) e di Igp-Indicazione di origine prodotta (72) -alle quali si aggiunge una Stg-Specialità tradizionale garantita- per un totale di 195 e con un fatturato al consumo di 10 miliardi di euro e per un export di 2,3 miliardi di euro. Ad evidenziarlo è la Cia-Confederazione italiana agricoltori la quale esprime soddisfazione per il crescente ruolo che sta assumendo il mondo agricolo nazionale in questo particolare campo, ma nello stesso tempo esprime preoccupazione per gli attacchi dell’ agropirateria, con falsificazioni e imitazioni dei marchi, che ogni anno mette in moto un giro d’affari di oltre 60 miliardi di euro. Attacchi che provocano al settore primario un danno di più di 3 miliardi di euro. Un fenomeno che, quindi, va combattuto e contrastato con la massima fermezza. Serve una valida tutela a livello internazionale.

Il nostro Paese -aggiunge la Cia- detiene così un consolidato primato a livello comunitario con il maggior numero di prodotti a denominazione di origine tutelata, oltre il 21 per cento del totale Ue. Ci seguono la Francia, che continua ad essere sempre più distanziata, con 167 prodotti (91 Dop e 76 Igp) e la Spagna con 127 prodotti (70 Dop e 57 Igp). Francia e Spagna hanno, rispettivamente il 19 e il 14 per cento dei marchi riconosciuti a livello europeo.

La Cia ricorda, anche sulla base dell’ultimo Rapporto elaborato dalla Fondazione Qualivita, che nel 2009 il «paniere» dei prodotti Dop e Igp in Europa si è arricchito di 50 produzioni. In testa l’Italia con 19 nuove produzioni registrate (in crescita soprattutto ortofrutticoli e cereali). Seguono Francia e Spagna, con 6 nuove produzioni. Nel nostro Paese 98.200 aziende agricole e allevamenti e 7600 strutture di trasformazione artigianali e industriali operano nel settore delle Dop e delle Igp.

I Dop e gli Igp italiani -sottolinea la Cia- sono prodotti che rappresentano la punta di diamante, in termini di qualità, nel panorama agroalimentare europeo. Per l’Italia queste produzioni non hanno solo un rilevante aspetto economico, ma sono anche una parte importante della nostra cultura, del nostro saper fare, dei valori legati al territorio, e spesso anche dei nostri paesaggi. Salvaguardare e valorizzare queste nostre produzioni è un fatto di vitale rilevanza non solo economica e non solo per l’agricoltura.
Sono prodotti, quelli a denominazione d’origine che, oltre a rappresentare un patrimonio culturale notevole e l’immagine stessa dell’Italia all’estero, costituiscono un settore economico e sociale. Basti pensare che questi prodotti danno lavoro, tra attività dirette e indotto, a più di 300 mila persone e che rappresentano una risorsa insostituibile per l’economia locale, in particolare per alcune zone marginali di montagna e di collina che, altrimenti, non avrebbero molte altre possibilità di sviluppo.

Tra le regioni italiane, in testa -sostiene la Cia- è il Veneto con 31 prodotti tipici. Seguono l'Emilia Romagna (30 prodotti), la Lombardia e la Toscana (20 prodotti), la Sicilia e la Campania (16 prodotti), il Lazio (15 prodotti), il Piemonte (14 prodotti), la Puglia (13 prodotti) e la Calabria (11 prodotti). Un numero di riconoscimenti che è destinato, comunque, ad aumentare, visto che in lista d’attesa per i marchi Dop e Igp ci sono molte produzioni.

Per quanto riguarda i consumi, la Cia sottolinea che la spesa per Dop e Igp è così ripartita: 65 per cento i formaggi, 16 per cento i salumi, 18,4 per cento i vini,
0,3 gli oli extravergine d’oliva, 0,3 gli altri (ortofrutticoli, pane, miele). E gli acquisti di tali prodotti sono concentrati per il 65,5 per cento negli iper e supermercati, il 18,5 nei negozi tradizionali e il 16,0 per cento negli altri canali di vendita.