27 aprile 2024
Aggiornato 03:00
I rincari non frenano gli acquisti: più 2 per cento

Consumi: la pasta non conosce crisi. Resta il piatto degli italiani

Ora, però, al crollo del grano duro devono corrispondere prezzi più bassi al dettaglio

LECCE - Il caro-pasta non incrina minimamente il rapporto tra gli italiani e il loro piatto nazionale. Dopo la breve crisi registrata nel secondo semestre del 2007, le tavole sono tornate ad ospitare, e alla grande, questo prodotto principe della dieta mediterranea. Nel 2008 si è, infatti, avuto un aumento delle vendite di circa il 2 per cento rispetto all’anno precedente, mentre nel primo semestre del 2009 la crescita si è attestata tra l’1,5 e il 2 per cento. E’ quanto evidenziato dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori, sulla base dei dati Ismea-ACNielsen, nel corso della terza Conferenza economica di Lecce.

Gli italiani, insomma, non hanno tradito il loro amore per la pasta. Neanche i forti aumenti dei prezzi sono riusciti ad allontanare un buon piatto di pasta dalle nostre tavole. Sta di fatto che -nota la Cia- proprio i nostri connazionali continuano ad essere i primi consumatori al mondo di spaghetti, rigatoni, bucatini, lasagne, cannelloni: oltre 26 chili pro-capite l’anno (il 37 per cento a Nord, il 23 per cento al Centro e il 40 per cento al Sud). A seguire, ma ben distanziati, i venezuelani (12,9 chili pro-capite), i tunisini (11,7 chili pro-capite), i greci (10,4 chili pro-capite), gli svizzeri (9,7 chili pro-capite), gli svedesi e gli statunitensi (9 chili pro-capite).

I consumi di pasta di un italiano, quindi sono tre volte superiori -afferma la Cia- a quelli di uno statunitense, di un greco o di un francese, cinque volte superiori a quelli di un tedesco o di uno spagnolo e sedici volte superiori a quelli di un giapponese.
Il valore economico della pasta -avverte la Cia- continua così a crescere. Nel 2008, la produzione nazionale è stata di oltre ai 3,1 tonnellate (per un fatturato complessivo di 4,7 miliardi di euro). Seguono gli Stati Uniti con 2 milioni di tonnellate e il Brasile con 1,5 milioni di tonnellate. L’Italia -come rileva anche l’Unipi (Unione industriali pastai italiani)- copre circa il 26 per cento della produzione mondiale di pasta e il 75 per cento di quella europea. In pratica, un piatto di pasta su quattro mangiato nel mondo e tre su quattro nell’Ue è «made in Italy».

Il consumo interno di pasta -sottolinea la Cia- supera 1,5 milioni di tonnellate, per un valore che di oltre 2,8 miliardi di euro. Ma il vero boom è l’export. Continua, infatti, ad aumentare la richiesta di pasta «made in Italy». Gli ultimi dati segnalano un valore dell’esportazione di 1,6 miliardi di euro. La Germania ha strappato agli Stati Uniti il primato di paese importatore di pasta italiana con il 16,2 per cento contro il 14,9 per cento statunitense. La Francia si attesta al 12,9 per cento, la Gran Bretagna è all' 11 per cento, il Giappone sale al 5,5 per cento, mentre la Russia, è scesa al 4,1 per cento.

Nella ripartizione dei consumi nazionali, la pasta di semola è la più «amata» dagli italiani, con una percentuale dell’82 per cento del mercato. Seguono, in questa particolare classifica, la pasta fresca ripiena (5 per cento), la pasta all’uovo secca (5 per cento), la pasta fresca confezionata (3 per cento), gli gnocchi (3 per cento), la pasta integrale (1 per cento), la pasta ripiena secca (1 per cento).
Sono dati che confermano la pasta primo piatto per le tavole degli italiani. E questo perché, nonostante i vertiginosi aumenti registrati negli ultimi due anni, resta un prodotto alla portata economica di tutte le famiglie. Un chilo di pasta, che viene consumato anche da dieci persone, costa quanto due caffè al bar.

Non solo. La pasta ha molti vantaggi. E’ un alimento estremamente versatile e può essere consumato sia come primo piatto che come piatto unico, a seconda del condimento che riceve. Inoltre, a differenza di quanto molti pensano, non è affatto ipercalorica o «grassa». Di conseguenza, non è pericolosa per la linea e per il cuore.
C’è, però, da rilevare che nell’attuale scenario di forte riduzione dei prezzi sui campi, vi è una forte asimmetria per quanto riguarda le quotazioni dei prodotti alimentari derivati e, in genere, tra l’andamento dei prezzi all’origine ed al consumo. Il dato più evidente è, ancora una volta, quello del grano duro e paste alimentari. La «forbice» dei prezzi resta ancora molto accentuata, anche se minore rispetto agli ultimi mesi. C’è, pertanto, da augurarsi che i listini al consumo, visto il crollo delle quotazioni del grano duro (meno 30-35 per cento), tornino su livelli adeguati, rispondendo così alle esigenze degli italiani.