23 aprile 2024
Aggiornato 13:00

Burocrazia, CIA: 20 giorni buttati

In Italia extracomunitari, stranieri e pensionati “lavorano” 20 giorni all’anno per risolvere pratiche

ROMA - Pagamenti vari, errori o disfunzioni su internet, indicazioni sbagliate, domande di pensione, cartelle pazze, riconoscimento d’invalidità, dichiarazione dei redditi e molto altro, rappresentano spesso un labirinto tortuoso che costa, ad alcune categorie di persone, circa 20 giorni d’impegno nel corso di un anno. Si quantificano, infatti, in 190 le ore che in media vengono dedicate a questo «lavoro» da un italiano e di oltre 390 se, per il disbrigo di pratiche legate a pagamenti, norme e regole italiane se ne occupa uno straniero o un pensionato. Il conto, proiettato alla distanza di una vita, sfiora i due anni e mezzo passati tra file, sportelli, reperimento documentazioni e uffici. Questo dato sorprendente emerge tra i primi macro-dati di uno studio, sui comportamenti «italiani-burocrazia», che sta conducendo l’Inac-Istituto nazionale assistenza cittadini della Cia, incrociando dati propri (questionari compilati dai cittadini a campione) con le analisi fatte, da Istat, Inps, Inail, Inpdap, Ministeri competenti e varie Associazioni dei consumatori.

L’occasione per sottolineare le anomalie burocratiche è la giornata nazionale «Inac in piazza per te». Il patronato, infatti, ha allestito oggi gazebo informativi con personale qualificato, per offrire «aiuto» ai cittadini in tutte le province italiane, e orientarli per il disbrigo di pratiche connesse a norme, leggi e adempimenti previsti dal nostro Paese. Lo slogan della manifestazione, non a caso è: «Fare domande, avere risposte». Un concetto ispirato dalla lettura di un dato emerso dai questionari sottoposti ai cittadini dall’Inac, che evidenzia come oltre il 73 per cento degli italiani e il 95 per cento degli stranieri, che vivono nel nostro Paese non conosce i patronati, il loro ruolo e i servizi offerti.

L’Italia -spiega l’Inac- conta una popolazione di 60 milioni di persone, oltre 23 milioni dei quali pensionati e più di 3 milione mezzo sono stranieri o extracomunitari regolari. Così, sottraendo dal totale la quota rappresentata dai bambini, la somma (circa 27 milioni) di pensionati e stranieri risulta tre volte superiore a quella della popolazione italiana attiva. Le due macro-categorie (pensionati, stranieri/extracomunitari) sono quelle più in difficoltà nel rapporto con la burocrazia. Un dato è emblematico e fotografa bene l’attuale situazione: «solo il 3 per cento degli over 65 ha una buona dimestichezza nell’utilizzo di internet, leggermente meglio gli extracomunitari che arrivano a circa un 15 per cento, ma una sostanziosa parte di questi sbaglia (non favoriti dalla lingua) la compilazione della modulistica proposta nei servizi del web». In questo contesto -rivela l’Inac- si spiega perchè circa il 30 per cento delle pratiche avviate, in particolare quelle telematiche, subiscono blocchi o rallentamenti per banali errori di compilazione o intoppi tecnici. Sono due -secondo l’Inac- le problematicità burocratiche più acute in questa fase: la macchina informatizzata per la quale il nostro Paese non è ancora pronto, e soprattutto il capitolo extracomunitari. Un «esercito» di oltre 3,5 milioni di extracomunitari regolari e molti altri da regolarizzare (oltre a quelli clandestini nel nostro Paese), confusi, poco informati e scoraggiati. Sono sostanzialmente lavoratori (con un reddito medio di circa 800 euro/mese) concentrati per un 20 per cento tra Roma e Milano. La restante parte vive e lavora in tutte le province italiane, con una dominanza al Nord e con la Sardegna che è la regione che conta meno presenze. Queste persone -rimarca l’Inac- dal momento in cui avviano la richiesta per il «titolo di soggiorno», nel nostro Paese, oltre a sborsare circa 70 euro (Poste, bolli ecc.), attendono almeno un anno e mezzo prima di ottenerlo, e questo se tutto «fila» senza intoppi.

Un'altra peculiarità italiana -evidenzia l’Inac- è la presenza ancora massiccia del cartaceo nelle archiviazioni dei documenti, quindi un raddoppio di lavoro e del giro di cartelline e faldoni. Altro elemento di «ignoranza» -sottolinea l’Inac- abbraccia i temi di tutela e sicurezza dei lavoratori, infatti, la percentuale dei lavoratori attivi che conosce poco o nulla delle norme, leggi e diritti in materia supera la percentuale del 50 per cento, in sostanza un italiano su due. Questi dati e le problematiche su cui ci confrontiamo quotidianamente -spiega Carla Donnini presidente dell’Inac- hanno ispirato la nostra manifestazione nazionale, che ci vede tra la gente, e in contemporanea con circa 100 punti informativi su tutto il territorio nazionale, per rivendicare e valorizzare il ruolo e le attività del patronato, portando il nostro contributo fattivo per l’alleggerimento della burocrazia che grava sui cittadini, troppo spesso disorientati e poco assistiti. Sempre sul tema lavoro -continua il presidente dell’Inac- e più precisamente sugli infortuni sofferti nell’espletamento della propria attività, e il relativo riconoscimento del legittimo diritto, si passa, solo per portare un esempio, dalle «5 tappe» previste per chi si rivolge ad un patronato, alle «9 tappe» per chi vuole chiudere la pratica da solo.

Tra i dati che stanno emergendo dallo studio -continua l’Inac- si segnala la difficoltà dei cittadini nella compilazione e il calcolo «fai da te» per la dichiarazione dei redditi e dell’Isee (Indicatore di Situazione Economica Equivalente): oltre il 95 per cento ha sostenuto che senza l’aiuto di professionisti non sarebbero mai in grado di «chiudere» correttamente la pratica. Insomma -prosegue l’Inac- volendo quantificare quanto pesa, ogni anno per ogni italiano o straniero lavoratore in Italia, il tempo speso per la «burocrazia» e la collegata mancata produttività, si arriverebbe a una cifra vicina ai 650 euro.