Cgil: Epifani, ora governo apra tavolo su crisi, tempo ci ha dato ragione
“Non è più tempo di battute, servono misure all’altezza dei tempi”
ROMA - «E’ una delle più grandi manifestazioni di sempre, qui c’è quella parte di Italia che vuole superare la crisi e chiede ascolto». Non nasconde l’emozione il leader della CGIL Guglielmo Epifani lasciando il megapalco al termine del comizio, al termine della grande manifestazione nazionale organizzata dalla CGIL oggi 4 aprile. Un’emozione inevitabile al cospetto della rossa platea che ha riempito oggi il catino del Circo Massimo. «Siamo 2 milioni e 700 mila», hanno fatto sapere dall’Organizzazione al termine della giornata: tanti erano i lavoratori, i giovani, i pensionati e i migranti che la CGIL ha portato in piazza sotto lo slogano ‘Futuro Sì Indietro No’, per rivendicare una politica adeguata alla crisi e per dire No all’accordo separato sulla riforma contrattuale.
Da una storica piazza sindacale Epifani ha lanciato la sua sfida al Governo: basta battute, serve aprire subito un vero tavolo di confronto sulla crisi. «Se sono vere le parole del nostro presidente del Consiglio – ha detto il numero uno della CGIL -, prima di partire per Londra, di non voler lasciare indietro nessuno, chiediamo formalmente di aprire subito un tavolo vero di confronto perché il crollo della ricchezza del paese, prevista per il 2009, non lo si può affrontare con battute e misure non all'altezza dei problemi», scatenando i fischi della piazza nel momento in cui chiama in causa il premier Silvio Berlusconi.
E se sulla Cgil sono piovute critiche per le sue previsioni, per i dati sulla Cig che disegnavano un crescente allarme occupazione, la realtà, ora che i numeri della confederazione sono stati condivisi e rilanciati anche da altri istituti, è sotto gli occhi di tutti. «Purtroppo ci troviamo a dire con forza che il tempo ci ha dato ragione. E’ una crisi lunga che tocca l’industria manifatturiera e i servizi ad essa legati. Un milione di posti di lavoro sono fermi e altri perduti e ogni giorno arrivano da tutta Italia nuovi segnali di difficoltà», ha aggiunto il segretario generale mettendo in guardia chi minimizza la portata della crisi.
«Non si può aspettare che passi la nottata perché è da questa nottata che dipenderà il nuovo giorno – ha spiegato Epifani -. Se si alimenta l'odio razziale si avrà un'Italia più xenofoba. Se non si provvede a una giustizia fiscale, e si favoriscono solo il capitale e le rendite, il Paese sarà sempre più immobile nelle gerarchie sociali. Se continuano a ridursi gli spazi di contrattazione il mondo del lavoro sarà sempre più debole, sempre più il Paese dei furbi e dei furbetti».
Ed è lungo l'elenco delle scelte, dallo scorso autunno ad oggi, non compiute dal governo che a conti fatti ha destinato a sostegno dei redditi non più di 4 miliardi di euro: «Perché non ha avvertito l'esigenza di un disegno di politica industriale? Perché ha improvvisato sull'edilizia e le grandi opere? Perché non si è deciso a cambiare la Social Card? Cosa aspetta ad allungare la durata della Cig prima che le imprese comincino a licenziare?», ha incalzato Epifani. Ma la risposta é sconsolata: «C’è troppo divario tra quello che bisogna fare e quello che il governo fa. Un buco nero che trascina con sé lavoratori, pensionati ma anche tante imprese». Ed è in nome di queste ragioni che sono «sindacali, civili, morali» che la CGIL «ha scelto di stare in campo anche quando gli altri non hanno consentito di fare una battaglia che dovevamo fare assieme».
Un’occasione persa, dunque, quella di oggi per recuperare quell’unità sindacale con CISL e UIL, pregiudicata dall'accordo separato sulla riforma del modello contrattuale del 22 gennaio scorso in poi. Eppure, dice ancora Epifani, «la crisi richiede unità e non divisione» ma non si può usarla «per ridurre gli spazi della contrattazione collettiva e dei diritti dei lavoratori» come fanno invece le nuove regole sulla contrattazione. «Su questo abbiamo ragione noi, gli altri hanno torto», ha proseguito ricordando anche a Confindustria «il gravissimo errore» fatto con la firma di quell'accordo. E rinnova la disponibilità ad un nuovo referendum unitario «vincolante soprattutto per la CGIL» cui sottoporre le nuove regole contrattuali. «Non si può giocare con la democrazia, che c’è solo quando si è sicuri di vincere e mai quando il risultato è in dubbio», ha detto ancora. La difesa della contrattazione, d’altra parte, è anche il modo per «non lasciare indietro nessuno» e che non può essere surrogata dal ricorso agli enti bilaterali. La contrattazione server «per guardare avanti e agli altri». Ed è questo il «grande messaggio di speranza, di cambiamento, per l’unità del mondo del lavoro» che il leader della CGIL, concludendo il suo intervento durato circa 40 minuti, affida alla piazza scandendo lo slogan della manifestazione ‘Futuro Sì Indietro No’.
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