L'Italia è un «paese per vecchi»: serve ricambio generazionale
Indagine Cnel-Unicredit: difficile emanciparsi, avere lavoro fisso
ROMA - Giovani italiani bravi, preparati, capaci e meritevoli, ma 'bloccati' nella carriera da una classe dirigente vecchia e 'attaccata alla poltrona'. E' quanto emerge da una ricerca presentata ieri alla presenza del ministro della Gioventù Giorgia Meloni e promossa dal Forum Nazionale dei Giovani insieme al Cnel, in collaborazione con Unicredit, che affronta il nesso tra mobilità sociale e questione giovanile, monitorando la presenza dei giovani nelle rappresentanze istituzionali e in alcuni settori chiave della cultura e del mondo del lavoro.
Il quadro che emerge non è incoraggiante: i giovani italiani, seppur capaci e meritevoli, faticano ad affermarsi professionalmente e ad emanciparsi in modo compiuto dalla propria famiglia prima dei quarant'anni. Né, data la fermezza con la quale la classe dirigente nostrana difende le posizioni acquisite, possono vantare una presenza significativa nelle posizioni di vertice della vita politica, economica e sociale del paese. Il rapporto si sofferma sul mondo politico, universitario e sugli ordini professionali: giornalisti, medici, avvocati, notai.
Lavoro precario - Le traiettorie occupazionali dei giovani italiani dimostrano la precarietà del lavoro e le difficoltà di affermazione per giovani professionisti: oltre un collaboratore su due ha meno di 35 anni. Difficilmente si tratta di contratti di ingresso, poiché la trasformazione delle collaborazioni in contratti a tempo indeterminato non è affatto la norma: il 73,1% dei giovani che alla fine del 2006 erano assunti con un contratto di collaborazione, a distanza di un anno erano ancora nella stessa posizione. Il passaggio al lavoro dipendente è diventato realtà solo per un giovane collaboratore su cinque (22,6%); peraltro questo passaggio per circa la metà dei neodipendenti ha significato accontentarsi di un contratto a tempo determinato. In pratica, nell'arco di un anno, solo un collaboratore su dieci è entrato a pieno titolo nel mondo del lavoro standard, ottenendo un contratto a tempo indeterminato. La preponderanza dei contratti a termine ha delle intuibili ricadute sui percorsi professionali: le carriere si allungano e chi ha un percorso lavorativo molto frammentato ogni volta è costretto a ricominciare dalla base della piramide, rimanendo di fatto escluso dalle posizioni di vertice.
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